Vivere da soli significa vivere isolati?

Punto di partenza: qualche dato

Siamo un paese che invecchia sempre di più. La stampa e la televisione ce lo ricordano quasi ogni giorno e ormai abbiamo tutti ben chiaro quali sono (e saranno) le conseguenze di questo fenomeno su molti aspetti della nostra vita sociale.

Ma, accanto a questo, c’è un altro fenomeno di cui si parla molto meno e che sta ugualmente segnando l’andamento demografico del nostro paese, ovvero l’aumento consistente e costante nel tempo del numero di persone che vivono da sole.

Osserviamo qualche dato: alla fine degli anni Novanta a essere composta da una sola persona era meno di 1 famiglia su 4, ma al gennaio 2022 era 1 famiglia su 3 a essere composta da 1 sola persona. Se poi si considerano le metropoli i numeri aumentano ancora: a Milano, per esempio, i dati più recenti indicano come ormai più di 1 famiglia su 2 sia composta da 1 sola persona.

Ma come si vive da soli/e se si è nelle età anziane della vita? Solo criticità?

Certamente se si considerano situazioni in cui sono presenti particolari forme di disagio (malattia, non autosufficienza, precarie condizioni economiche, ecc.) vivere da soli/e quando non si è più giovani può rappresentare un’ulteriore aggravante.

Questo vale anche per le situazioni meno svantaggiate?

Per tentare di dare qualche risposta a questa domanda faccio riferimento a 2 ricerche che ho condotto nel tempo con persone di età adulta e anziana che vivono da sole a Milano: una ricerca realizzata nel 2013 su un campione di 250 donne e una ricerca effettuata nel 2020 su un campione di 988 persone di entrambi i sessi. Entrambe le ricerche hanno indagato molte e diverse dimensioni del vivere da soli/e in età anziana. Per ragioni di spazio, e senza pretesa che i risultati che esporrò possano essere considerati generalizzabili, ne proporrò alla riflessione solo alcune.

Il primo dato su cui mi pare interessante soffermarmi è che vivere da soli/e, lungi dall’essere soltanto e necessariamente una condizione dolorosa e/o subìta, può essere anche un piacere e una scelta. Un piacere tra l’altro che aumenta, secondo quanto emerso da entrambe le ricerche, con l’aumentare del tempo in cui lo si sperimenta, ovvero più a lungo si vive da soli/e più si diventa capaci di apprezzarne i vantaggi e di gestirne in maniera efficace gli svantaggi.

Verosimilmente connesso a questo dato un altro elemento evidenziato dalle indagini è che vivere da soli/e non significa per forza vivere isolati/e. Le persone da me intervistate hanno infatti mostrato in percentuali molto elevate di poter contare su legami sociali significativi in grado di fornire supporto nei momenti di criticità e di sostituire molte delle funzioni (in primis gli scambi affettivi) tradizionalmente svolte dalla famiglia.

Altro aspetto interessante che è stato possibile osservare analizzando i risultati delle ricerche è che essere anziani non significa essere solo destinatari di aiuto ma spesso essere anche fornitori attivi di aiuto sia nell’ambito delle proprie relazioni più strette sia in contesti sociali più allargati (quali associazionismo, volontariato, ecc.).

Questo dato sfata alcuni pregiudizi molto diffusi e mostra che:

  1. le persone anziane non sono di per sé solo portatrici di bisogni ma al contrario possono essere (o possono essere anche) risorsa preziosa;
  2. ugualmente le persone che vivono da sole non esprimono necessariamente forme di individualismo e disinteresse per la dimensione collettiva ma possono al contrario essere attive costruttrici di legami e di partecipazione sociale.

Un ultimo aspetto su cui può essere interessante soffermarsi riguarda le differenze di genere. Ci sono, cioè, differenze nel modo in cui la condizione di vivere da soli/e in età anziana viene vissuta e percepita da uomini e da donne?

Ancora una volta senza pretesa di generalizzare e sempre prescindendo da situazioni di particolare fragilità, analizzando i dati emersi dalla ricerca condotta nel 2020 si può osservare come, per esempio, al centro del mondo di relazioni sociali delle donne le amicizie svolgano un ruolo più importante (quale luogo di condivisione, di confronto, di supporto) rispetto a quello che viene loro attribuito dagli uomini.

Altra differenza: in momenti di particolare difficoltà le donne sembrano disporre di capacità di fronteggiamento più robuste e resilienti rispetto a quelle messe in campo dagli uomini. Così le donne sono risultate aver vissuto con minore disagio le condizioni severe di isolamento e di preoccupazione sperimentate da tutti durante il lockdown: più degli uomini le donne si sono, infatti, attrezzate per riempire quello spazio e quel tempo socialmente vuoti imparando, e imparando a fare, cose nuove, mai sperimentate prima, e più degli uomini hanno dedicato attenzione e cura nel coltivare e mantenere, nei modi rimasti possibili, le proprie relazioni.

E proprio il tema delle relazioni mi sembra che attraversi trasversalmente tutte le dimensioni qui richiamate configurandosi come il vero, cruciale, snodo delle nostre vite, di tutte ma ovviamente in modo particolare di quelle delle persone che vivono da sole.

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Foto primipil su licenza iStock

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Assistente sociale, docente in corsi di Laurea in Servizio Sociale (Università Ca’ Foscari e Bicocca), ha svolto attività di ricerca con diversi Istituti regionali e nazionali.

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