Volontariato, qui si incontrano le generazioni
Non serve ISTAT per notare a occhio nudo che il volontariato italiano sia animato perlopiù da cittadine e cittadini dai capelli sempre più argentati. E questo al netto che le statistiche ufficiali alle volte non siano particolarmente performanti nell’intercettare tutti i fenomeni di volontariato “informale” dove i giovani la fanno da padrone.
Nonostante tutto però l’associazionismo da anni si interroga sul come attirare le nuove generazioni, come tenere in seno quelle meno nuove e come far convivere l’impegno e lo stile di giovani e differentemente giovani quando ci si spende per il Bene comune.
Ovviamente in CSV Milano crediamo che questo “gioco di squadra” sia non solo una sfida aperta, ma anche fonte di riflessione per noi operatori che quotidianamente raccogliamo la voglia di volontariato di un’intera metropoli. Una riflessione necessaria per meglio predisporre strumenti di “inclusione” atti ad aprire, fattivamente, a tutti, proposte di attivazione e partecipazione civica.
Abbiamo quindi intercettato Mario Cifarelli, presidente del Censin – Centro Studi Intergenerazionale, storico ente, di base a Matera, attivo con differenti denominazioni dal 1984 nella ricerca a valenza sociale concentrandosi primariamente sullo studio delle dinamiche intergenerazionali. A lui chiediamo quale sia, nel volontariato, il possibile punto di contatto tra generazioni spesso così anagraficamente lontane:
“Tutto sta nell’individuazione di obiettivi d’attivazione comune. Quando sono chiari e condivisi, le differenze, le lontananze si restringono. E anzi, per noi senior il volontariato può anche essere un punto di rottura con quella narrazione che ci dipinge esclusivamente come coloro che sostengono il welfare famigliare, accudendo i piccoli e i giovani. Fare i nonni, insomma. Ovviamente siamo anche quello, ma non solo. Anzi, proprio il convergere su obbiettivi comuni ci dimostra che siamo anche altro”.
Può farmi un esempio pratico? “Certo. Qui a Pomarico, in provincia di Matera, abbiamo sistemato un pezzo di terra demaniale e lo gestiamo tutti insieme, giovani, meno giovani e senior… perché il soggetto ‘giardino’, la sua cura, il suo mantenimento può essere senso comune per ogni generazione e ogni generazione può convergere su di esso con il proprio bagaglio specifico.
Per esempio gli over 60 qui hanno tutti esperienza da coltivatori e con il proprio bagaglio parlano anche ai più piccini, insegnando. Non dimenticherò mai lo stupore di un giovane quando scoprì da uno di questi senior l’esistenza delle orchidee selvagge, native del nostro territorio… credeva che esistessero solo quelle coltivate, vendute dal fiorista, già invasate…”.
Ma una volta salvi dal passare esclusivamente come dei nonni-chioccia non si rischia di entrare nel mondo del volontariato replicando, invece, pedissequamente, la vita lavorativa?
“Anche a questo bisogna fare attenzione. Nel volontariato non dovremmo per forza replicare, in formato fotocopia sbiadita, il nostro bagaglio esperienziale lavorativo. Siamo in quella che definiamo nuova età? E allora non dobbiamo avere paura anche di abbracciare una nuova proposta, una nuova via, proprio partendo dall’esperienza del volontariato”.
Storicamente come Centro Studi ribadite che incontro tra generazioni non significa confusione che fa perdere le differenze, ma allora qual è la specificità dei senior quando cercano un’esperienza di volontariato?
“Il nostro attivarci ha una sorta di spontaneità nel sentirsi sempre complementari. La nostra generazione andava a cercare gli altri perché sapeva che da soli non ce la potevamo fare o che comunque l’isolamento non ci avrebbe fatto bene.
Andavo dal mio vicino non solo perché era buona creanza, ma perché le sue capacità tecniche completavano le mie, creando un avanzamento mutuale comune. Era una concretezza generativa. E questo può tornarci utile quando incontriamo le generazioni più giovani, così immerse in un mondo che sa di virtuale. E loro, a loro volta, possono insegnarci che la tecnologia è anche relazione.
Alla mia generazione non scalda il cuore vederci tramite una webcam, ma percepisce subito, immediatamente, se una nuova tecnologia può migliorare il presente. E questo comprendersi, insegnarsi a vicenda, appunto, avviene quando c’è un luogo, un momento di scambio e un fine comune”.
Le nuove generazioni sono quelle più disilluse rispetto le istituzioni e spesso sognano in proprio. I senior provengono da un mondo dove le istituzioni e il sognare insieme erano elementi cardine della vita sociale. Non si rischia che questi due modi di sognare siano incompatibili?
“Non c’è concorrenza in questo, mi creda. Non ci si rubano i sogni a vicenda. Abbiamo notato che i senior sono molto inclini a comprendere le speranze e le delusioni delle nuove generazioni, tra precarietà del lavoro, difficoltà abitativa fino ad abbracciare, e non serve citarlo, la necessità di sostegno al welfare famigliare. Il senior può fare molto con la sua azione volontaria.
Un senior può prendere per mano la disillusione delle nuove generazioni e accompagnarle a scoprire l’importanza e la necessità di Enti pubblici. Un impegno al dialogo che esuli da una parte da una mera contingenza elettorale, cioè dall’accostare la cosa pubblica alla sola sfida politica, ma dall’altra anche – in determinate parti d’Italia – dall’accostare le Istituzioni a meri ‘postifici’.
In questa missione servono due ingredienti: tempo e pazienza. Questi due elementi, tendenzialmente, sono architravi del presente di un senior in pensione. Quindi in questo siamo perfetti. E attenzione, non parliamo di spiegare solo i massimi sistemi e alti concetti. No, partiamo dal mostrare al giovane quanto le istituzioni possano – senza nascondere i limiti, ovviamente – impattare positivamente sulla sua quotidianità, sulla vita concreta, sul garantire servizi, infrastrutture, una vita bella da vivere, insieme, come comunità”.
Incontro. Confronto. Ibridazione. C’è però una cosa che solo i senior possono attuare nell’incontro con le nuove generazioni?
“Beh, di certo abbiamo anche la responsabilità di insegnare alle nuove generazioni ad accettare le nuove età che scandiscono la crescita di un essere umano. Siamo, mediaticamente soprattutto, nel pieno della società giovanilistica. Sembra che non si debba invecchiare mai. Spesso anche noi senior ripetiamo come anagraficamente abbiamo magari 70 anni, ma ci sentiamo ancora 50enni. Quando si è giovani capita il contrario per sembrare più grandi. Le nuove generazioni si aggiungono anni, invecchiandosi. Insomma, nessuno tendenzialmente vuole l’età che ha”.
E una possibile soluzione quale potrebbe essere?
“Intanto bisogna educare ed educarsi a non sentirsi più giovani o anziani del dovuto, ma piuttosto a trovare il proprio ‘significato sociale’ a partire proprio dalla propria età anagrafica. Quando si trova il proprio ruolo nella società, per come si è, per l’età che si ha, non c’è più bisogno di sentirsi altro. Anche perché facendo così si può rigettare le etichette che ci vogliono divisi tra generazioni, quando invece si dovrebbe parlare di intergenerazionalità. Perché solo i senior vengono relegati a categorie sanitarie? Perché ci ripetiamo cose del tipo ‘se c’è la salute, c’è tutto’? La salute forse non interessa anche i giovani? Non abbiamo anche questo in comune?”
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Accredito foto: Volontari curano campo comune © Enrico Genovesi – Progetto FIAF-CSVnet “Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano”
Francesco Bizzini, responsabile ufficio stampa CSV Milano – Centro di Servizio per il Volontariato Città Metropolitana di Milano.