Il quarto processo
Docuserie Netflix in 8 episodi.
In Italia si dibatte molto sulla situazione delle carceri sovraffollate, sui suicidi, sulla riabilitazione. Tutti temi della sinistra, mentre la destra insiste sull’insicurezza dei cittadini. Il femminicidio è forse sempre esistito ma ora siamo più sensibili al problema e merita un nome.
Questa serie Netflix, che è un documentario, focalizza l’attenzione sugli errori giudiziari che sono più frequenti di quanto si creda. L’esame del DNA ha facilitato le cose. Ma in passato c’era una sinergia di interessi tra la polizia, che voleva chiudere un caso velocemente, e i collaboratori di giustizia, ben disposti a dichiarare il falso per avere uno sconto di pena. Da noi questi collaboratori sono stati utili per sconfiggere le Brigate Rosse, ma è chiaro che sono un’arma a doppio taglio.
La serie è dominata da Rosemary Scapicchio, l‘avvocato difensore, una senior decisamente obesa (di un’obesità rara in Italia) ma che per intelligenza e cura della persona appare gradevolissima da vedere e da ascoltare. Diremmo che buca il video.
Il condannato è il solito afro-americano, Sean Ellis, che, con qualche piccolo reato di spaccio, è il colpevole perfetto, anche perché si trovava nel luogo sbagliato al momento giusto. Degli ottimi disegnatori rappresentano le scene che non sono state riprese.
La scelta di fare un documentario con una regia sapientissima che mescola passato e presente senza lasciare momenti di tregua, rende la visione molto coinvolgente. Difficile pensare al lavoro del regista. Avrà fatto più interviste ai protagonisti sugli stessi temi, poi si sarà dedicato a un lavoro di editing, scegliendo i pezzi riusciti meglio in modo che il documentario risultasse perfetto. Non riusciamo a pensare che i protagonisti, non attori, sapessero spiegarsi con tanta chiarezza e facilità. Insomma, davvero un video riuscitissimo.
I temi sono molto attuali. Condannare “senza ragionevole ombra di dubbio” non è facile. Alcuni avvocati affermano che, proprio per questo, sono più numerosi i colpevoli in libertà piuttosto di quelli in carcere. L’organizzazione “Innocent Project” afferma il contrario e avvocati come Rosemary Scapicchio sono interessati a scavare nelle vecchie condanne.
Il sistema giudiziario italiano, criticato per la lunghezza dei processi, non è dissimile da quello americano, perché gli appelli sono sempre possibili e il presunto colpevole può restare in carcere anche 20 anni come il protagonista del documentario. Ciò è davvero inumano se sulla sua testa pesa la pena di morte. Cosa succederà negli Stati Uniti sulla pena di morte? Biden negli ultimi periodi di mandato ha tramutato la pena di morte in carcere a vita, cosa farà Trump ?
Il tema è davvero molto complesso perché da una parte abbiamo i parenti delle vittime che chiedono giustizia anche se sanno benissimo che una vita tolta non potrà mai essere restituita. Dall’altra ci sono i colpevoli, che spesso sono giovani e possono essere riabilitati.
Infine, sia Italia che Stati Uniti sono paesi profondamente cristiani per cui riteniamo che la vita è sacra e che la colpa possa essere attribuita solo da Dio. “Nessuno tocchi Caino” è un’organizzazione che si rifà a questa idea.
Dunque questo video, molto ben fatto, tocca un tema dibattuto su cui vale la pena di riflettere. E lo fa senza scene cruente, ma solo attraverso la testimonianza dei personaggi e le arringhe della fenomenale Rosemary Scapicchio.
Regia di Rémy Burkel , Docuserie Netflix, anche in italiano.
Foto tratta da uno spezzone della docuserie.
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Wally Festini Harris è nata e vive a Milano. Già psicoterapeuta e professore universitario, ora si dedica alla scrittura. E' autrice, tra gli altri, dei saggi, "Ricomincio da 50" (2009) e "Ricomincio da 60" (2015).