Con questo articolo prosegue l’attenzione di Osservatorio Senior al tema della compresenza di più generazioni nei luoghi di lavoro. Leggi qui e qui
Negli ultimi decenni, la velocità del progresso tecnologico, l’accelerata crescita delle aspettative di vita e l’ingresso nel mondo aziendale di nuove generazioni stanno ponendo al centro un tema fondamentale: la gestione e la valorizzazione della diversità generazionale.
All’interno delle aziende oggi sono presenti fino a cinque generazioni che collaborano tra di loro1. Ognuna con la propria storia, le proprie caratteristiche, linguaggi, comportamenti, valori, esperienze e, naturalmente, anche un diverso approccio professionale al lavoro e al proprio ruolo.
Il tema generazionale, come per ogni altro aspetto di “diversità” nella realtà lavorativa, pone l’importanza di interrogarsi su quali siano le potenzialità che risiedono nelle differenze e come valorizzarle al fine di promuovere una convivenza armoniosa e inclusiva, ma anche per assicurarsi un vantaggio competitivo.
Quali sono i vantaggi?
- Maggiore innovazione, divergenza, creatività.
- Miglioramento del benessere.
- Incremento del senso di appartenenza e conseguente aumento della produttività.
La diversità generazionale, se presidiata in maniera funzionale, favorisce un valore aggiunto all’interno delle realtà organizzative e integra una diversità di esperienze, di conoscenze e di competenze che genera maggiore ricchezza per l’azienda. Affinché accada questo, tuttavia, è fondamentale attivare delle politiche di gestione delle risorse umane che facilitino la valorizzazione di tutte le generazioni e la creazione di un ecosistema inclusivo, che integra ogni genere di diversità.
Da dove nasce la difficoltà di convivere con il “diverso”?
Il nostro cervello si è evoluto per preferire ciò che è simile e familiare a noi, orientandosi inconsapevolmente verso la ricerca dell’omogeneità e dell’appartenenza a un gruppo – noi contro loro – e per resistere nei confronti di ciò che è ritenuto diverso e registrato dal cervello come potenzialmente minaccioso. È un riflesso mentale talmente radicato che avviene nel giro di pochissimi secondi e che ha avuto il suo ruolo evolutivo, ma che oggi però risulta poco funzionale e dannoso.
Tuttavia, questo riflesso può essere gestito: il nostro cervello è dotato di una capacità fondamentale: la neuroplasticità, che gli consente di modificarsi e rinnovare percorsi neurali già formati. In altre parole, abbiamo la possibilità, nel corso di tutta la vita, di sradicare e ristrutturare pregiudizi, stereotipi, categorizzazioni costruite negli anni.
In che modo è possibile cambiare questa predisposizione?
- A partire dalla generazione di consapevolezza. È fondamentale, tuttavia, tenere a mente due possibili problemi:
- Il primo problema: “non è detto che tutti siano disposti a cambiare i propri atteggiamenti, ma è probabile che la maggior parte delle persone si senta a proprio agio con le opinioni distorte che hanno sviluppato nel corso della loro vita”, (Mike Noon, Ph.D)
- Il secondo problema è che “l’allenamento sui pregiudizi inconsci presuppone che gli atteggiamenti influenzeranno il comportamento” e non è detto che sia così.
Quindi prima di stimolare consapevolezza nelle persone è bene partire dalle intenzioni e da una educazione rispetto all’importanza di adottare una visione diversa. Questo può partire da un lavoro di educazione all’esistenza di pregiudizi più o meno inconsapevoli (es. “i senior non stanno al passo del cambiamento” oppure “i junior vogliono tutto e subito senza faticare”). Tuttavia, sebbene questa pratica risulti essere efficace a breve termine, non ha un impatto rilevante a lungo termine.
- Per poter rendere più efficace questo passaggio è fondamentale quello della rieducazione emotiva. Tutte le esperienze sono codificate anche in termini emotivi, per cui per generare inclusività e apertura è fondamentale allenare la capacità di mentalizzare l’altro con empatia e intelligenza emotiva.
- Una terza strada da percorrere, quella più concreta ma anche più ardua, è quella del cambiamento comportamentale, che non vive senza consapevolezza e senza rieducazione emotiva. L’assunto di base in questo caso è che, come nei decenni passati il comportamento ha influenzato i processi mentali generando poi quello che oggi viviamo (e quindi una certa diffidenza verso la diversità) oggi possiamo lavorare su di esso anche per influenzare i nostri processi mentali. L’adozione di nuovi comportamenti prevede un apprendimento ed è attraverso l’apprendimento che il nostro cervello può ricalibrarsi in termini funzionali e adottare una visione più inclusiva.
In questa cornice, le aziende possono concentrarsi sul mettere in atto strategie per valorizzare le differenze, comprese quelle intergenerazionali, identificando le leve per generare una convivenza armoniosa, creando ecosistemi inclusivi.
Foto monkeybusinessimages su licenza iStock.
[1] Pierantoni, Come gestire 5 generazioni in azienda