Intervista a Ruben Jais: musica e spiritualità
Nell’editoriale di un paio di settimane fa che ha aperto la nuova sezione Spiritualità, abbiamo scritto che avremmo cominciato con una intervista.
Il nostro primo intervistato è stato Ruben Jais, Direttore d’orchestra e attuale Direttore Generale ed Artistico della Fondazione Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi.
È stata una intervista piuttosto lunga nel suo ufficio all’interno dell’Auditorium. Uno strano posto per chi ha in mente i grandi spazi e la sontuosità degli uffici di alta direzione. Qui il cuore è chiaramente la musica e gli spazi sono organizzati intorno all’Auditorium. Il resto è accessorio, funzionale.
C’erano diversi musicisti, molti giovani, che provavano isolati o in gruppetti. Un’atmosfera più da college universitario che da grande orchestra punto di riferimento della vita artistica italiana.
Gli abbiamo fatto diverse domande. Siamo partiti dai suoi anni giovanili per poi addentrarci nel suo pensiero spirituale e religioso e sulla relazione tra questo e la musica. Abbiamo cercato di estrarre i temi principali della sua riflessione e ne abbiamo fatto una sintesi.
Ecco quello che ci ha detto.
Sono nato a Milano. Mio padre era Ebreo e mia madre Valdese. La libertà di pensiero e di espressione era molto importante nella mia famiglia e io, in campo religioso, non sono stato forzato in alcuna direzione.
A scuola ero esonerato dall’ora di religione ma rimanevo lo stesso ad ascoltare. Probabilmente per una naturale propensione all’approccio scientifico e comparativo, essere venuto a contatto con visioni così differenti mi ha portato a non credere nell’esistenza di un’unica figura divina.
Una volta ho ascoltato un famoso filosofo inglese che, rispondendo ad una domanda, disse “Sono ateo rispetto ad una delle 3000 religioni che esistono sulla faccia della terra”. Il fatto stesso che esistano diverse forme di religiosità nel mondo, ciascuna con le sue credenze tutte equivalenti dal punto di vista della “verità”, mi ha portato a questa convinzione.
Sono sempre stato affascinato dal bisogno dell’umanità di avere uno strumento superiore per spiegare quello a cui la conoscenza non arriva. La scienza ha fatto passi da gigante e, seppure conosciamo ancora molto poco dell’universo e di noi stessi, questo avanzamento ha privato la religione di parte della sua funzione di spiegazione e di consolazione sui misteri della vita e della morte. Ma le domande rimangono e siamo molto lontani dall’avere dalla scienza risposte chiare ed esaustive.
Parte della risposta sta nell’accettare che non capiamo tutto, che non abbiamo certezze, ma che in tutti i campi stiamo andando avanti in questa comprensione. La mia prospettiva religiosa è la ricerca stessa più che le risposte in sé. La meraviglia del percorso.
Ho la fortuna di fare musica con persone che condividono la mia stessa passione. Ci sono momenti in cui la sintonia con l’orchestra, il coro ed i solisti è tale che l’unità di concezione che raggiungiamo fa scaturire qualcosa di superiore. Diversi esseri umani possono condividere nel profondo un’unica visione.
In questo senso Bach è un riferimento per me perché a distanza di più di trecento anni riesce ancora a suscitare grandi emozioni. Nelle sue Passioni, per esempio, Bach descrive una storia dalla potenza emotiva infinita, una storia che ciascuno può interpretare secondo le sue convinzioni anche religiose ma che è possibile condividere profondamente al di là delle differenze. Bach era un luterano convinto ed ha chiare le risposte alle grandi domande della vita, ma io non posso condividerle. Trasmette però un messaggio potente: può esserci una sintonia di intenti tra gli esseri viventi.
Le religioni portano a condividere una visione e forniscono risposte alle grandi domande. La stessa cosa fa la musica. Dona una visione unitaria che io trovo mistica. In qualche modo anche questo è parte della mia visione religiosa. La musica non mi dà risposte precise e definite, quanto la forza per continuare a cercare condividendo con altri l’emozione del percorso.
La curiosità, l’apertura e la ricerca sono tratti fondanti della mia vita professionale e non solo. Mi piace lavorare con chi mi porta qualcosa che non conosco, anche se questo è faticoso perché vuol dire non avere mai certezze definitive. C’è una bellissima cantata di Bach in cui il profeta Ezechiele, novantenne, esprime la sua stanchezza della vita e il desiderio di andare dal suo Signore. Ha una certezza: dopo questa vita ce n’è un’altra migliore. Ogni volta che l’ascolto mi colpisce e provo un po’ di invidia perché ha delle risposte che io non ho. La sua ricerca è terminata.
Tre autori sono importanti per me. Bach, naturalmente. Beethoven, che è la mia infanzia, la mia casa, il mio approdo. E poi Mahler. In ogni sua frase musicale c’è la morte, la vacuità della vita, l’impossibilità di aderire pienamente a risposte esterne consolatorie. È l’angoscia ma anche l’ineluttabilità della ricerca.
In foto: Ruben Jais dirige l’Orchestra Sinfonica di Milano ne La materia oscura con Simone Iovenitti – foto Angelica Concari. Per gentile concessione del Maestro Ruben Jais.
Psicologo. Dopo più di 40 anni di lavoro nelle organizzazioni ha deciso di dedicare il suo tempo alla famiglia e allo studio delle religioni e della spiritualità nel mondo.
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