Vietato piangere

La storia di: Giuliana

Ho iniziato a lavorare molto presto, a 21 anni e subito sono entrata a far parte di una multinazionale. Il flashback si riferisce a circa 34 anni fà e già allora, e questo è il paradosso, c’erano i contratti a tempo determinato. Riesco con fatica ad ottenerne uno di due mesi rinnovato poi per altri due mesi, grazie all’eccellente conoscenza della lingua inglese. Inizio la mia gavetta in un’azienda dove si sperimenterà poi anche l’esodo incentivato che avveniva tuttavia con il sorriso degli interessati, grazie alla compresenza di una parte sindacale. Proseguo nel mio percorso fino a quando arriva l’opportunità per il salto di qualità. Cambio azienda e comincio letteralmente da zero un nuovo percorso, fatto di fatica e coinvolgimento su tutti i fronti. L’azienda sta nascendo e manca praticamente tutto: dalle procedure alle competenze. Vado avanti lo stesso e mi impegno fino a quando, dopo solo 6 mesi di prova, scopro di avere un tumore. La prima preoccupazione è come andare avanti sul lavoro. Quel lavoro dove ancora devo dimostrare molto e che rappresenta soprattutto in questo momento una “via di fuga”, una leva per affrontare interventi e terapie. Scopro di avere un’energia che non immaginavo mi appartenesse e continuo a lavorare con le piccole pause necessarie. Riesco ad andare avanti e l’azienda mi trasferisce in un altro settore dove non ho nessuna competenza ed attitudine. Inizia un processo involutivo dove la perdita di identità e la demotivazione si confrontano con la voglia di apprendere di cercare di restare al passo. Chiedo di avere formazione o di continuare a far parte di un’area dove possa essere più produttiva. Nel frattempo sono passati circa 20 anni dal mio ingresso nel mondo del lavoro e con sacrifici enormi mi laureo per ben due volte, colmando un gap che mi faceva sentire in qualche modo non completamente idonea per il mio ruolo. Dopo molti anni finalmente riesco a ritrovare un equilibrio creando un nuovo settore con maggiore attinenza rispetto alle mie esperienze e caratteristiche. Non passa molto tempo e l’azienda inizia a creare un bacino di possibili risorse con prospettive di uscita dall’Organizzazione. Non me ne rendo subito conto ma faro’ parte di questo gruppo, chirurgicamente individuato in base all’età ed alla posizione, ritenuta all’improvviso non necessaria. Dov’è il paradosso? Quello che mi è successo continua a succedere a molte persone ma la differenza è che io sono anche una “categoria protetta”. Questa condizione in passato forse mi avrebbe risparmiato il trattamento di “uscita” ma oggi non ha alcun peso nelle decisioni aziendali. Con tutte le mie forze cerco di ribellarmi al mio destino consultando legali e consulenti del lavoro ma ho le spalle al muro. Cerco di mediare, di parlare con l’azienda perché trovi soluzioni anche temporanee ma non mi viene dato ascolto. I miei colleghi sono troppo immersi nel non immaginare che un domani potrebbe toccare anche a loro. Non ci sono rappresentanti sindacali in azienda. Da circa 3 anni non sono più parte dell’azienda che ho contribuito a creare e sono incappata nella cosiddetta “riforma Fornero” che ha esteso il traguardo della pensione. Sono stata seguita da una società di ricollocamento ma senza risultati. La vera drammatica discriminante è l’età anagrafica che sancisce un vero e proprio spartiacque tra chi può ambire a continuare a lavorare e chi no. Non voglio arrendermi però e decido di pubblicare un e-book con un titolo emblematico “vietato piangere” dove ripercorro le tappe della mia esistenza e della mia vita professionale, cercando sempre di non lasciarmi andare alla disperazione per una condizione che si sta estendendo a macchia d’olio.

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