Intervista a Guido Tonelli: scienza e spiritualità
Guido Tonelli, professore emerito dell’Università di Pisa e fisico al Cern di Ginevra, è uno dei padri della scoperta del bosone di Higgs. Uno scienziato di grande rilevanza internazionale, che ha ricevuto premi e riconoscimenti.
Dato il curriculum ero preparato ad una persona orgogliosa e forse anche un po’ arrogante. Ma non è stato per nulla così, a partire dalla disponibilità all’intervista che non era scontata. Per tutto l’incontro ha mantenuto un tratto gentile e riflessivo, spesso intercalato da frasi come “questo è il mio parere … mi sembra … credo”, esprimendosi sempre in prima persona.
L’intervista si è mossa intorno al suo libro: “Genesi – il grande racconto delle origini”.
Prima di entrare nel merito dei temi che ci interessano ho una curiosità: come si diventa “Scienziati”?
Nel mio caso per una serie di eventi casuali. La fisica mi è sempre piaciuta ma non era l’unica mia passione. Da studente non avevo le idee chiare. Mi sono iscritto a fisica a Pisa pronto a cambiare facoltà se non mi fossi trovato bene. In questa Università si sono formati grandi scienziati, alcuni premi Nobel, e vi insegnavano professori eccellenti, personalità rispetto alle quali tutti sentivamo un senso di inadeguatezza. Ma nei momenti di difficoltà capitava che alcuni docenti ti guardassero negli occhi e nel loro sguardo vedevi qualcosa di cui nemmeno tu ti rendevi ben conto: fiducia in quello che potevi fare e incoraggiamento ad andare avanti.
Dopo la laurea ho fatto un viaggio al Cern e ho scoperto dentro di me una passione bruciante per la ricerca. Mi sono dedicato anima e corpo a esplorare le nuove frontiere della conoscenza, cercando sempre di fare del mio meglio. Poi, mi sono trovato, inaspettatamente, a dirigere CMS: 3500 scienziati di tutto il mondo mi avevano scelto per guidarli nella ricerca sul bosone di Higgs. Anche in questo caso ho cercato di fare di tutto per meritarmi la fiducia che i miei colleghi avevano riposto in me ed eccomi qua.
Nel suo libro, riferendosi ad Aristotele, lei scrive: “La filosofia nascerebbe dallo stupore, misto a curiosità, di fronte a qualcosa di inspiegabile, che ci affascina e ci sovrasta” e poi aggiunge “Ma forse questo sentimento non basta per capire questa urgenza profonda, primordiale, quasi innata di cercare una risposta alle grandi domande”. La meraviglia sarebbe mista all’angoscia “provocata dall’evento annientante che esce dal niente”.
È un’ipotesi naturalmente. Elemento indimostrato ma plausibile: porre meraviglia ed angoscia alla base della spinta primordiale a conoscere e a capire mi sembra ragionevole perché noi siamo fragili e destinati a finire presto a fronte di un universo che appare immensamente più grande ed eterno. La conoscenza è un potente antidoto contro la paura.
Questa spinta a conoscere è ancora presente oggi?
Secondo me sì. In qualche forma è ancora dentro di noi anche se molti mettono la sordina a questa esigenza. La nascondono sotto forme surrogate di desiderio: “compra tutto quello che puoi”, “riempi il vuoto con una moltitudine di oggetti materiali” che a lungo andare si rivelano inutili. Abbiamo ancora bisogno di dare un ordine all’universo, di capire da dove nasce il mondo materiale che ci circonda e che fine farà per comprendere il nostro ruolo in tutto questo.
Lei si è dato qualche risposta?
Si. Ho fatto un tentativo, senza avere la pretesa di aver trovato la soluzione. La conoscenza che ho accumulato in tanti anni di ricerca mi ha fatto capire l’estrema finitezza, quasi l’insignificanza della nostra presenza in un universo gigantesco e totalmente estraneo alle nostre vicende. Parto da un punto di vista di grande umiltà. Il nostro è un piccolo pianeta, e noi siamo soltanto scimmie antropomorfe che fanno esperimenti da qualche secolo. Vediamo intorno a noi forze immani, c’è un lato catastrofico e caotico dell’universo che ci fa capire quanto siamo stati arroganti a pensare di essere al centro di tutto questo. Come se un insetto minuscolo capitasse sul palcoscenico del Teatro alla Scala e guardandosi intorno immaginasse che quell’ambiente meraviglioso sia stato fatto appositamente per lui.
Una visione tremenda.
All’opposto. Io la trovo confortante. Perché quando ridimensioniamo il nostro ruolo cosmico possiamo valorizzare quello nei confronti del pianeta, dei nostri simili e di noi stessi. Fondare un’etica della vita. Cercare di produrre conoscenza, bellezza, di avere cura degli altri, perché questa è l’unica cosa che dipende realmente da noi.
Questa prospettiva l’aiuta ad affrontare l’idea della morte?
Sì perché sposta l’attenzione da qualcosa che non possiamo cambiare e che è comune a tutte le forme materiali esistenti, dalla più grande alla più piccola, alla vera questione, che è come occupiamo il tempo che abbiamo a disposizione. La maniera migliore di confrontarsi con la morte è dare un senso alla propria vita.
Lei è credente?
Mi considero ateo. Non credo in Dio, nel senso che non credo in una entità sovrannaturale che ordina e presiede l’universo. Sono uno scienziato e investigo la natura, tutto quello che è “oltre” non rientra nel mio sapere. Fare lo scienziato non ti dà strumenti speciali per parlare di Dio. Puoi solo dire che i fenomeni naturali che osserviamo sono spiegabili solo con leggi interne alla natura. Il rapporto con Dio nasce invece da un atto di fede. Ci si affida a un essere sovrannaturale che la scienza per definizione non può indagare. La fede è una scelta individuale, un dono personale; io sono ateo ma conosco ottimi scienziati profondamente credenti.
Accettare la morte come un evento che abbiamo in comune con tutte le forme materiali, e concentrarsi sulla vita per ricavarne il meglio per sé e per gli altri. Questo lei suggerisce.
Sì. Ciascuno secondo le proprie possibilità.
Questa convinzione torna nelle interviste che abbiamo fatto, che però sono tutte persone “quasi” normali, già convinte ed impegnate. E per gli altri?
Credo che gli intellettuali possano fare opera di educazione prima di tutto attraverso il loro comportamento e poi nei contatti con gli altri. Immagino una trasformazione molecolare che avviene con relazioni interpersonali, piccoli gruppi, confronti diretti. Durante le mie conferenze o le presentazioni di libri sono sempre meravigliato di quante persone si pongano queste domande fondamentali ma pensano di essere i soli a farlo.
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Psicologo. Dopo più di 40 anni di lavoro nelle organizzazioni ha deciso di dedicare il suo tempo alla famiglia e allo studio delle religioni e della spiritualità nel mondo.