Un’anca nuova

Scrive una lettrice: “Ho 72 anni, da qualche anno soffro di dolori derivanti da artrosi dell’anca, sono sempre più limitata nei movimenti e ho iniziato a zoppicare.

Un poco è servita la fisioterapia fatta finora, ma non basta. L’ortopedico mi ha consigliato di fare l’intervento mettendo la protesi. Mi sono quasi decisa, ma vorrei capire cosa succederà dopo l’intervento.

A parte la chirurgia, dopo l’operazione si potrà davvero togliere il dolore e recuperare tutti i movimenti con il lavoro fatto da un bravo fisioterapista?”

Diagnosi

Siamo nel campo della patologia e quindi ci vuole un solido approccio scientifico basato sulle linee guida che indirizzano il trattamento dell’artrosi dell’anca. Quest’ultima è l’articolazione che più di frequente è colpita dall’artrosi, patologia degenerativa che provoca la progressiva usura della cartilagine articolare, dolore e limitazione del movimento. Compare nella maggior parte dei casi nei senior, specie in sovrappeso o francamente obesi, ma la letteratura riporta l’artrosi precoce anche in giovani sportivi a causa di una patologia chiamata “conflitto femoro-acetabolare”.

La diagnosi deve essere eseguita e confermata da uno specialista ortopedico, il quale potrà rilevare il dolore a livello dell’inguine che è il sintomo caratteristico dell’artrosi dell’anca, seguito via via dalla zoppia durante la deambulazione. Solitamente basta una normale radiografia  con cui è possibile valutare lo stato della cartilagine e delle componenti ossee dell’articolazione, ovvero la testa del femore e l’acetabolo nel bacino.

Terapia

I trattamenti in fase inziale includono il cambiamento dello stile di vita (perdere peso, cambiare attività sportiva), terapia farmacologica (antinfiammatori, analgesici), terapia con integratori (glucosamina solfato, condroitin solfato), esercizi di rinforzo muscolare, infiltrazioni di acido ialuronico, infiltrazioni di cellule staminali mesenchimali prelevate dal paziente stesso. Bisogna però rilevare come questi trattamenti, che in alcuni casi possono permettere di ritardare l’intervento di protesi, sono da considerarsi comunque delle terapie palliative e non risolutive la patologia.

Intervento chirurgico

Si tratta di inserire una protesi che sostituisce la testa femorale e che si inserisce in una cavità acetabolare nuova che viene “avvitata” nel bacino nello stesso posto della vecchia cavità acetabolare. Sicuramente le attuali tecnologie hanno ridotto i tempi di intervento e il recupero funzionale.

Protesi cementata o non cementata? È uno dei dilemmi che più spesso ricorrono nella pratica chirurgica di un ortopedico. Vi sono numerosi studi che sono giunti a conclusioni differenti e ciò attesta la mancanza di certezze assolute sulla maggiore o minore efficacia dell’uno o dell’altro metodo interventistico.

La protesi con fissazione cementata consente una deambulazione quasi immediata e una rapida riabilitazione, ma tale soluzione viene adottata nei pazienti senior perché nel soggetto giovane il reintervento (le protesi attuali hanno una durata di circa trent’anni) diventa complicato e molto invasivo. La protesi non cementata sfrutta la peculiare conformazione della superficie della protesi stessa che stimola la neoformazione del tessuto osseo intorno al punto di contatto. È la scelta obbligata per i pazienti cosiddetti giovani.

Riabilitazione

In generale il recupero da un intervento chirurgico protesico necessita di circa sei settimane. Durante questo periodo avviene la guarigione dell’incisione chirurgica e il ripristino muscolare e fisico e il ritorno alle normali attività come dormire, mangiare e tutte quelle routinarie della vita normale. Ovviamente il trattamento riabilitativo deve essere svolto da un fisioterapista esperto che, oltre ad intervenire direttamente sull’articolazione interessata, dovrebbe fornire delle schede tutoriali nelle quali sono inserite le varie attività da eseguire e quelle assolutamente da evitare.

Come si vede il percorso è squisitamente medico: specialista che esegue la diagnosi di necessità dell’intervento chirurgico, controllo del fisiatra e indicazione al fisioterapista del progetto riabilitativo per tornare ad ottenere un’autonomia, pur con qualche limitazione, sufficiente a condurre una vita regolare senza dolore.

Foto kzenon su licenza iStock

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Già primario di riabilitazione specialistica dell’ospedale L. Sacco di Milano e docente presso l’Università degli Studi di Milano, Silvano Busin é Direttore scientifico di ISSA Europe (International Sports Sciences Association Europe) e della rivista Fitness & Sport.

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