Generazione inversa
La storia di: Gino
Salve a tutti, mi chiamo Gino, ho 55 anni e due anni fa mi sono sposato. Tutto ciò sarebbe fantastico se alla soglia dei cinquant’anni non avessi perso il lavoro. Una Laurea in Economia e Commercio, un Master, tanti attestati per tentare di aggiornarsi non ultimo quello di pochi mesi fa su “Teoria e pratica dei servizi al lavoro”, Dirigente, Consulente per aziende sia pubbliche che private, incarichi nella P.A. Poi… il niente… centinaia di curriculum anche adattati e modificati perchè per fare il cassiere in teoria non dovrebbe servire una laurea, tante email, anche un concorso, ma niente di niente.
Troppo vecchio, troppo qualificato, oppure , semplicemente… non sei più giovane, neanche le esperienze all’estero. Più passano gli anni e più ti vedi sparire, di fronte ai tuoi cari, ai tuoi amici, sei solo un numero nei centri dell’impiego. Peggio ancora se per ragioni familiari sei stato costretto a tornare al sud magari per dare una mano ad un parente che essendo disabile non riesce più a vivere con 270 euro al mese.
Nel frattempo sei sempre più solo e più avvilito , in particolare nei confronti di tua moglie anche se ti ama, a lungo andare, ti senti nei suoi confronti un peso e un limite. Sentirsi in una morsa senza via di fuga è come essere quasi morti. Queste sono le principali sensazioni che la gran parte di noi avvertono, tanta rabbia e delusione perchè tutto il lavoro fatto non darà nessuna garanzia per il futuro per non parlare delle istituzioni specialmente al sud… inesistenti. In realtà mi sento in un vicolo cieco.
Il nostro lettore ha chiesto di avere una risposta pubblica da una psicologa esperta del mondo senior. Risponde Silvia Lo Vetere:
“Gentile lettore, descrive una situazione da qualche anno drammaticamente in aumento. Quella per cui suppergiù a 50anni, età in cui si hanno ancora molte energie da mettere a frutto – per di più spesso migliorate da competenze acquisite nel tempo ed esperienze di una vita – ci si trova improvvisamente senza lavoro. Con il rimando esterno costante di essere diventati all’improvviso troppo “vecchi” per essere assunti e anche troppo qualificati e quindi “costosi” per continuare a ricoprire un ruolo “standard”nel mondo del lavoro “normale”.
Tornare ad avere una più che legittima utilità sociale, richiede quindi oltre che una buona dose di forza, di coraggio e determinazione, di diventare anche molto creativi ed essere disposti a uscire dai criteri standard.
Un certo livello di sicurezza economica, purtroppo non scontato, certamente è di grande aiuto in questa ricerca e nel posizionarsi in questo assetto mentale.
Certo se la situazione economica è molto precaria, questa strada diventa più in salita. Penso che non ci sia altro allora che persistere sulle strade che lei ha già ben descritto: centri di impiego, contatti magari fino ad oggi mai presi in considerazione. Soprattutto una grande capacità di adattamento almeno iniziale a qualsiasi possibilità, compresa quella di dovere viaggiare.
Chiarita questa premessa fondamentale, di seguito sintetizzo due storie che nel mio lavoro ho avuto modo di conoscere non dissimili dalla sua. Sperando che in qualche modo possano essere di qualche utilità.
Sono due brevissimi racconti di due professionisti suoi coetanei e con simile curriculum di studi e professionale, inaspettatamente licenziati. Sulla strada di una significativa depressione alle porte.
Dalla loro, come sopra dicevo, una situazione economica (non so la sua) abbastanza solida, quantomeno non di immediata urgenza. Cosa che ci ha consentito di concentrarci da una parte sugli inevitabili sentimenti di disvalore ogni giorno sentiti da entrambi come crescenti ed immobilizzanti. Una ferita dell’autostima destinata a prendere piede che sempre accade di fronte a una forzata uscita dal circuito professionale. Una ferita che giorno dopo giorno rischiava di compromettere la fiducia, il valore di sé. Fino a scambiare l’affetto dei cari come inaccettabile commiserazione. Rischiando di arrivare a compromettere rapporti affettivi che, paradossalmente proprio in questa fase, sarebbero stati più che mai indispensabili.
Dall’altra parte, insieme alla condivisione di questi difficili sentimenti, il nostro lavoro ha potuto concentrarsi sul potere immaginare e mettere a fuoco, quanto davvero avrebbe consentito una ripresa di autostima.
A entrambi i professionisti che ho avuto la fortuna di conoscere, mancava molto il lavoro inteso anche come contesto relazionale con i colleghi, con i dipendenti, a cui da una vita si erano dedicati con impegno, passione e con non pochi riconoscimenti.
Soprattutto però a mancare ad entrambi non era un qualsiasi lavoro. Era piuttosto la messa in campo di quelle qualità personali che li aveva resi validi professionisti: capacità di pianificazione, strategia, decisionalità, gestione del personale.
Da sempre aspetti di cimento e di soddisfazione che avevano loro regalato nel tempo un buon senso di efficacia e di autorevolezza personali, riconosciute anche negli ambiti di lavoro. Caratteristiche divenute quindi anche pilastri della loro identità e la cui caduta sollecitava importanti aspetti depressivi.
Non era qualsiasi lavoro allora – abbiamo potuto mettere a fuoco – che avrebbe agito sul senso di valore di sé, ma la creativa esplorazione di contesti in cui rimettere in gioco in modi non standard (impiego in una nuova azienda), queste caratteristiche.
Il primo professionista che oltre ad essere un bravo manager era anche uno sportivo, ha iniziato a cooperare come volontario nella protezione civile.
Le sue ben presto riconosciute capacità gestionali e organizzative dopo un anno lo hanno portato a progetti di responsabilità e anche ad un riconoscimento economico. Non come in precedenza, ma anche non più in una condizione di puro volontariato.
Soprattutto il ruolo in cui da sempre sentiva di spendersi al meglio ha potuto nuovamente realizzarsi.
Il secondo professionista ha iniziato a dare ripetizioni ad allievi dei licei. Ha scoperto che mettere in campo le sue conoscenze potendole trasmettere a qualcun altro rendendolo a sua volta appassionato e interessato, cominciava a gratificarlo restituendogli soddisfazione e senso di utilità.
Ha continuato su questa strada trovando ore d’insegnamento in scuole private in seguito, qualificandosi per l’insegnamento, incarichi di docenza a progetto in alcune università private.
Hanno entrambi guadagnato meno, ma sono riusciti a mettere di nuovo a disposizione competenze, esperienza, saggezza e soprattutto almeno in parte in un ruolo che sentivano appartenente. Cosa che nel tempo ha restituito il senso di meritato valore e utilità. In campi che non avrebbero mai immaginato di operare.
L’augurio più sentito che le possa succedere qualcosa di simile. E presto!”