Invecchiamento attivo: per sé, con gli altri

Questo articolo è un estratto dell’Introduzione del numero zero de Il Semestrale – periodico dell’Associazione Nestore.  Si ringrazia l’autrice, Carla Facchini, per l’autorizzazione a riprodurlo in questa sede.

L’invecchiamento attivo come tema “moderno”.

Il tema dell’invecchiamento attivo è entrato nell’agenda politica e di studio negli anni ’90 per affermarsi con l’elaborazione del 2002 da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU del Piano di Azione Internazionale di Madrid sull’Invecchiamento (Madrid International Plan of Action on Ageing – MIPAA) e con l’adozione, da parte della stessa Assemblea, della road map per la sua realizzazione (ONU, 2004).

Prima di entrare nel merito del tema, forse è opportuno ricordare che esso diventa rilevante a seguito dell’intreccio di due fenomeni, ambedue verificatisi in tutti i paesi occidentali nei decenni immediatamente precedenti.

Il primo è l’aumento della speranza di vita, passata dai circa 60 anni dei primi decenni del ‘900, ai 70 anni del 1951, agli 82 anni attuali.

Il secondo, forse ancora più rilevante, è legato all’istituto del pensionamento, introdotto alla fine dell’800, ma estesosi a tutti i lavoratori (compresi quelli autonomi) solo a metà degli anni ’60 del secolo scorso, ponendo così un nesso del tutto nuovo tra età anziana e cessazione del ruolo lavorativo.

Nelle società tradizionali, caratterizzate per la maggior parte della popolazione da risorse economiche decisamente scarse, non era infatti previsto nessun rigido passaggio legato all’età da una condizione di lavoro a tempo pieno ad una, ugualmente a tempo pieno, di ‘non’ lavoro. Per quei pochi che diventavano anziani, la transizione al ‘non’ lavoro era infatti graduale e legata alle specifiche caratteristiche individuali, quali le condizioni di salute, o le condizioni economiche familiari. Basti citare che, fino ai primi decenni del ‘900, i censimenti rilevavano, tra gli over 65, tassi di ‘attivi’ attorno al 70-80%.

E’ quindi a partire dagli anni ’60 del secolo scorso che gli anziani da un lato costituiscono quote crescenti di popolazione, dall’altro sono, almeno per quanto riguarda il mondo del lavoro, ‘inattivi’ e considerati, conseguentemente, a rischio di emarginazione.

Da quegli anni si sviluppano quindi riflessioni e considerazioni, anche divergenti, sull’invecchiamento e sulla perdita di ruolo connessa al pensionamento. Ad una lettura iniziale che ritiene che l’invecchiamento comporti di per sé un disingagement, ovvero una perdita di interessi, se non un processo di emarginazione, se ne contrappone un’altra che, pur concordando sul tendenziale declino legato al progredire dell’età, evidenzia come sia proprio il venir meno di activity, ossia di attività, interessi e stimoli, ad accentuarne gli aspetti più problematici.

Lettura, quest’ultima, che sarà confermata dalle numerose ricerche sull’invecchiamento che evidenziano il ruolo fondamentale del permanere di interessi, attività, relazioni sociali: chi invecchia in maniera attiva ne trae benefici non solo sotto il profilo della salute fisica, ma anche di quella psicologica e di qualità della vita in generale (Silverstein, Parker, 2002; Ehlers, Naegele e Reichert, 2011).

Non stupisce quindi che, come scritto sopra, negli ultimi decenni il concetto di invecchiamento attivo entri nell’agenda politica internazionale e sia sviluppato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come una delle possibili risposte per affrontare le sfide sociali, sanitarie ed economiche di una popolazione sempre più longeva (Walker, 2014). Concretamente, attraverso l’invecchiamento attivo si vuole promuovere uno stile di vita che si ponga in una complessiva logica di prevenzione al decadimento, vuoi in quanto basato su una corretta alimentazione e sulla prevenzione sanitaria, vuoi in quanto centrato sul mantenimento delle relazioni sociali e delle attività culturali – nella loro più ampia accezione.

Ed è in questa logica che si auspicano politiche e servizi che affianchino alle precedenti politiche sociali volte al sostegno della perdita di capacità (fisiologiche/ cognitive) che tendono ad accompagnarsi ad un’età elevata, altre politiche che favoriscano il permanere il più a lungo possibile di tali capacità (O’Neill, 2007): in una logica, quindi, non solo ‘riparativa’ e ‘assistenziale’, ma anche ‘preventiva’.

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Quello che qui più ci interessa è che, nei decenni che vanno dagli anni ’70 del secolo scorso ai primi due decenni di questo, in tutti i paesi industrializzati, si è allungato il periodo tra la fine del ruolo produttivo e il termine della vita e che per gli anziani l’essere ‘attivi’ è slittato dall’ambito lavorativo a quello dei comportamenti privati (se vogliamo dei loisirs).

Ma, anche in Italia, tali mutamenti non hanno riguardato ‘tutti’ e, forse, non sono irreversibili.

In primo luogo, non ‘tutti’ hanno dismesso un ruolo lavorativo attorno ai 60 anni: non è così per i lavoratori autonomi, per i quali il pensionamento formale non sempre coincide con un’effettiva cessazione dell’attività lavorativa; non è così per chi, specie le donne, è comunque coinvolto, anche in età avanzata, dal lavoro di cura.

In secondo luogo, in tutti i paesi, Italia compresa, il sistema pensionistico prevede un incremento dell’età in cui si esce dal mondo del lavoro per cui molte persone anche a 65 anni sono (e ancor più saranno) professionalmente ‘attive’. Il periodo di ‘inattività’ (almeno per quanto riguarda quest’ambito) tende quindi ad accorciarsi, con conseguenti ripercussioni sul vissuto del pensionamento e sul periodo ad esso successivo delle nuove generazioni anziane (Facchini, 2020).

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Riferimenti bibliografici:

Albanese A., Facchini C., Vitrotti G. (2006), Dal lavoro al pensionamento. Vissuti, progetti, FrancoAngeli, Milano.

Da Roit B. (2019), Quarant’anni di politiche di ‘long term care’ in Italia e in Europa, Autonomie locali e servizi sociali, n.3, pp.593-608.

Facchini C., (2020), La trasformazione delle generazioni anziane in, Istat, Dall’incertezza alla decisione consapevole: un percorso da fare insieme. ATTI della 13a CONFERENZA NAZIONALE DI STATISTICA, Istat, Roma, pp. 264-272.

Hillman J., La forza del carattere; la vita che dura, Adelphi, Milano, 2000.

ONU, (2002), Political declaration and Madrid International Plan of Action on ageing

Walker A., Maltby T., (2012), Active ageing: A strategic policy solution to demographic ageing in the European Union, in International Journal of Social Welfare, 21(1), pp. 117-130.

World Health Organization (OMS), (2012), Active Ageing. A Policy Framework, Ginevra, https://www.un.org/esa/socdev/documents/ageing/MIPAA/political-declaration-en.pdf

Foto dusanpetkovic su licenza iStock

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Carla Facchini è Presidente dell'Associazione Nestore, già Professore Ordinario di Sociologia della Famiglia, Universita Milano Bicocca.

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