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Previdenza e condizioni economiche

Stare bene: piaccia o no, la responsabilità è anche nostra

Tutti noi desideriamo stare bene. Ma cosa vuol dire “stare bene”?

Il progetto per misurare il benessere del nostro Paese (BES – Benessere equo e sostenibile), nato da un’iniziativa del Cnel e dell’Istat, si sviluppa dalla consapevolezza che i parametri sui quali valutare il progresso e «lo stare bene» di società e persone non possano essere solamente di carattere economico, ma debbano tenere conto anche delle dimensioni sociali e ambientali del benessere della popolazione, arricchite da misure di diseguaglianza e sostenibilità.

Secondo quanto indicato dal BES, stare bene significa veder soddisfatte, contemporaneamente, una serie di dimensioni: salute, istruzione e formazione, lavoro, politica e istituzioni, relazioni sociali, benessere economico e soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, sicurezza, ambiente, innovazione, ricerca e creatività, qualità dei servizi …

La salute è una delle dimensioni essenziali del benessere, al centro dei pensieri di tutti noi, e talvolta anche delle preoccupazioni. Qualche dato ci permetterà di inquadrare meglio il tema e di riflettere.

Oggi in Italia la speranza di vita in buona salute alla nascita si stima pari a 61,2 anni per gli uomini e 59,1 per le donne, a fronte di una speranza di vita di 80,5 anni per gli uomini e di 84,8 anni per le donne[1].

Attualmente la percentuale di coloro che hanno 65 anni e più che non sono autosufficienti ed hanno bisogno di Long Term Care è di circa il 28.7%[2]. La sfida è chiara: vivere a lungo non basta, bisogna anche poter vivere bene, e avere la possibilità (anche economica) di essere ben assistiti in caso di bisogno.

Oggi un anziano solo spende in media 1.189€[3] all’anno per motivi sanitari; se consideriamo gli importi pensionistici medi di vecchiaia (1.111€ lordi per i maschi, € 752€ lordi per le femmine[4]) capiamo perfettamente perché la salute generi tante preoccupazioni.  Secondo l’ultimo rapporto Censis[5], il 35,2% dei pensionati italiani si sente poco protetto in caso di malattie e il 45,4% in caso di non autosufficienza.

Fonte: Elaborazioni Progetica su dati Istat

Che fare dunque? Arrendersi alla distopia o trovare strategie e buone soluzioni?

Per agire a favore del proprio benessere occorre indossare le lenti della fiducia e cercare alleati, non nemici.

Il primo alleato della nostra salute è lo Stato che, attraverso il Servizio Sanitario Nazionale, ci mette a disposizione dispositivi medici, professionisti preparati, competenze, farmaci, programmi di prevenzione, macchinari sofisticati, punti di ascolto. Molti di noi, purtroppo, faticano a vedere nello Stato un alleato della propria salute, ne è evidenza la crescente sfiducia nei confronti del personale medico che sempre più spesso si trova a costretto a difendersi e a correre ai ripari.

E’ utile però fare un passo indietro e andare all’origine del nostro Sistema Sanitario Nazionale. In Italia la salute ha un welfare di stampo “Beveridgeano”, derivante dal pensiero straordinario di Sir William Beveridge che in Inghilterra nel 1942 introdusse per primo un principio universalista, prima sconosciuto. Con Beveridge allora, e in Italia oggi, tutti i cittadini (e non solo i lavoratori) sono titolari di un diritto a un livello minimo di sussistenza che deve essere garantito dallo stato (tramite i LEA[6]) e supportato in prevalenza dalla fiscalità, che redistribuisce la ricchezza.  Tutti hanno diritto ad essere curati: un principio di estremo valore che forse talvolta, per via delle emergenze e della concitazione, tendiamo un po’ a dare per scontato.

Lo Stato è dunque un nostro alleato, ma non può essere il solo, per diversi motivi.

Come sappiamo, da diversi anni il welfare pubblico sta arretrando, anche per via di una struttura demografica ed economica complicata che rende difficile ridistribuire a tutti i cittadini prestazioni economiche adeguate.

La piramide delle età italiana del 2023 chiarisce meglio il tema: in basso troviamo i bambini, in alto gli anziani, a destra le femmine, a sinistra i maschi. In verde la popolazione inattiva (bambini, ammalati, disoccupati, pensionati…), in azzurro la popolazione attiva, ossia coloro che con il loro lavoro versano contributi che serviranno a pagare le pensioni, a fornire servizi alle famiglie, a sostenere il sistema sanitario nazionale, e così via…

Fonte: elaborazione Progetica su dati Istat 2023

Lo squilibrio esistente tra contribuenti e richiedenti è chiaro: quel che entra nelle casse dello Stato non può bastare a far fronte alle molteplici esigenze e garantire a tutti prestazioni dignitose.

Per dare qualche dato, secondo la Ragioneria Generale dello Stato nel 2021 lo Stato ha speso 127 miliardi e 834 milioni di euro per la sanità in Italia. Ovviamente, con l’avanzare dell’età aumenta la spesa pubblica destinata al supporto della salute (si arriva a circa 3.800€ per una persona sola di più di 65 anni). La piramide demografica che segue evidenzia il tema mostrando ad esempio come il 56% del valore totale delle remunerazioni teoriche delle prestazioni ospedaliere sia relativo a persone di 65 anni o oltre.

Fonte: Elaborazioni Progetica su dati Rapporto SDO – Ministero della Salute (2020)

Lo squilibrio tra entrate ed uscite mostrato dalla piramide delle età ha numerosissime conseguenze, come ad esempio il progressivo slittamento dell’età pensionabile, la diminuzione degli assegni pensionistici, la riduzione della spesa sociale a favore delle famiglie, l’allungamento delle liste d’attesa, e così via.

La tabella che segue riporta qualche dato relativo ai tempi medi di attesa per eventi gravi che richiedono un intervento immediato.

 

Intervento Tempo d’attesa medio in giorni
Per tumore alla prostata 48,8
Per tumore al colon retto 22,8
Per bypass coronarico 23,3
Per protesi d’anca 82,2

Fonte: Elaborazioni Progetica (2023) su dati Rapporto SDO – Ministero della Salute (2020)

Di fronte a queste evidenze molti cittadini non possono attendere e chi può permetterselo mette mano ai risparmi accumulati per farsi visitare in tempi brevi, riducendo le riserve e accedendo così alla sanità privata.  E chi non può farlo e non ha nessuno a cui affidarsi?  Gli italiani che si trovano a convivere con una disabilità grave senza poter contare sul supporto di un proprio caro sono parecchi e questo richiede un ragionamento serio, anche in un’ottica di ampliamento della rete di alleati chiamata a dare benessere e supporto in giovane, ma soprattutto in tarda età.

Fonte: Istat, Rapporto sulla disabilità

In sintesi, se il Welfare State sta arretrando, c’è bisogno di agire parallelamente su più fronti.

Se da una parte è essenziale lavorare per creare riforme efficaci capaci di “invertire la rotta” demografica, rimettere in moto la natalità, facilitare l’ingresso al lavoro delle nuove generazioni, generare un’occupazione sana per uomini e donne di ogni età, sostenere la contribuzione, questo non basta.

Occorre unire le forze per re-agire a questo stato dell’arte che vede il “sistema salute” arrancare di fronte al peso di una popolazione che chiede supporto e ha il diritto di vivere bene, ma che non può trovare nel solo sistema pubblico l’aiuto di cui necessita.

Da qui l’importanza (o quasi il dovere) di chiamare a bordo e stimolare la partecipazione di altri soggetti-alleati capaci di influire positivamente sul benessere dei cittadini. Ci riferiamo, ad esempio, alla necessità di strutturare e diffondere programmi seri di welfare aziendale, che mettano a disposizione servizi di assistenza e pronto supporto ai familiari anziani dei lavoratori. Su questo fronte si stanno facendo passi avanti, ma serve qualche sforzo in più per diffondere la cultura e l’interesse nei confronti di servizi di “welfare” che siano veramente tali. Le Imprese non sono però le sole ad essere invitate a far parte della rete, c’è il terzo settore che è chiamato a sviluppare sempre più la sua professionalità e capacità di aiutare i più fragili e vulnerabili. Il mercato assicurativo e finanziario è un altro attore importante che deve lavorare per essere riconosciuto come soggetto di fiducia e mettere a disposizione soluzioni utili e coerenti con i nuovi bisogni di salute.

Ma c’è un ultimo grande alleato e siamo noi.

Occuparsi della propria salute si inserisce in un contesto generale di corso di vita nel quale gli imprevisti sono molti, e non possono essere semplicemente evitati per la difficoltà ad assumerne consapevolezza e controllo. In questo quadro, dobbiamo prenderci parte della responsabilità, attivando comportamenti virtuosi di prevenzione e aumentando la consapevolezza dei rischi sanitari che corriamo. In tal senso il ruolo dell’educazione finanziaria si definisce chiaramente.

Ottobre è il mese dell’educazione finanziaria (#Ottobreedufin2023 – Quello che conta): prendiamo parte a iniziative pubbliche sul territorio, cerchiamo informazioni, mettiamo in atto comportamenti economici virtuosi e capaci di influire positivamente sul nostro benessere e su quello delle persone a cui vogliamo bene. Tocca anche a noi.

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Foto PeopleImages da iStock

[1] Fonte: Bes – Istat 2022

[2] Fonte: Long-term care Report 2021 – Direzione generale per l’Occupazione, gli affari sociali e l’inclusione (Commissione europea)

[3] Fonte: elaborazione Progetica su dati Istat 2021

[4] Fonte: XXII Rapporto INPS (Settembre 2023)

[5] Rapporto Censis 2022: sfide per il futuro riguardo anziani, salute e sostenibilità

[6] I Livelli essenziali di assistenza (LEA) sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale.

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