Spiritualità e neuroscienze

Intervista a Franco Fabbro

Franco Fabbro è stato professore di Fisiologia, Neuropsichiatria infantile e Psicologia clinica presso l’università di Udine. Dal 2013 è Professore affiliato nel laboratorio di robotica percettiva della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. È  autore di numerosi lavori scientifici e di vari libri – www.francofabbro.it

Franco Fabbro

Nei suoi libri tornano spesso i termini Spiritualità e Uomo spirituale, cosa vogliono dire?

A mio parere Spiritualità e Uomo spirituale fanno riferimento a tre aspetti:

  • Riconoscere, in quanto esseri umani, di avere dei limiti; non solo con riferimento a noi stessi, nel corpo nella mente e da ultimo nell’esperienza della morte, ma anche nei confronti degli altri che come noi cercano di vivere al meglio con ciò ponendo dei limiti alle nostre pretese.
  • Un secondo elemento collegato alla spiritualità consiste nella capacità di confrontarsi con il dolore fisico e psichico in maniera equanime: senza ignorare, senza odiare, senza desiderare.
  • E da ultimo entrare in connessione con il mistero che avvolge la complessità dell’esistenza.

E il soprannaturale?

Dal mio punto di vista è qualcosa in cui si può credere o meno ma è altro rispetto alla Spiritualità.

Nel suo ultimo libro “La svolta biopsichica”, lei definisce il soprannaturale informazione senza supporto. Cosa significa?

Sono convinto che il paradigma fisico-matematico che oggi è alla base della nostra conoscenza, cioè l’idea che tutto sia spiegabile attraverso la fisica e la matematica, non sia in grado di spiegare la complessità della vita e della mente umana. Per questo propongo di introdurre, accanto al paradigma fisico-matematico, un paradigma biopsichico cioè, in sostanza, di adottare una prospettiva fondata sull’informazione.

La vita è informazione. Nel DNA sono contenute le istruzioni per costruire la vita. Sono quattro zuccheri, i nucleotidi, che combinati in “frasi” guidano il processo di costruzione degli esseri viventi. Gli zuccheri, cioè le “lettere”, sono necessari ma è la loro sequenza che costituisce informazione. Provo a spiegarmi. La Divina Commedia è composta di 408.476 lettere: tante A, tante B, tante C, e così via. Se raduniamo in cestini separati il numero giusto di A, di B, di C, avremo le 408.476 lettere ma non la Divina Commedia. La fisica e la matematica sono fondamentali per individuare le lettere, numerarle, costruire i cestini, ma insufficienti per descrivere o creare una struttura complessa come la Divina Commedia.

Franco Fabbro

La vita, la psiche e il linguaggio dipendono dal supporto fisico ma vanno oltre. Se vogliamo immaginare una vita oltre la morte dobbiamo spingerci ancora più avanti, a una informazione senza supporti, perché con la morte di un organismo vivente pluricellulare tutto collassa. Non abbiamo mai descritto informazioni senza supporto. Rimango aperto al soprannaturale perché non abbiamo sufficienti conoscenze per escluderlo. La decisione se crederci o meno è filosofica non scientifica.

In una conferenza lei ha sostenuto che, se anche siamo quelli che siamo grazie al nostro cervello, non siamo il nostro cervello. Perché?

L’universo è costituito da molti livelli di complessità: particelle elementari, atomi, molecole semplici e complesse, organismi viventi che originano, vivono, si replicano e muoiono, psiche e oltre alla mente l’autocoscienza. Servono discipline scientifiche differenti e nessuna di queste riesce a spiegare tutto da sola, soprattutto i livelli di complessità superiori al suo ambito specifico. E poi ci sono l’arte, la filosofia, la religione che hanno “logiche” molto differenti dalla scienza.

Sappiamo molto poco di come funziona il cervello. La sua enorme complessità, forse la maggiore in tutto l’universo, deve essere affrontata con diverse discipline, e forse c’è spazio per qualcos’altro. Tutto questo significa che siamo molto di più del nostro cervello, ad esempio le lingue che conosciamo (l’italiano, l’inglese, il tedesco, ecc.) sono apprese e sostenute dal nostro cervello ma derivano da una tradizione storico-culturale che va al di là dei singoli cervelli umani.

All’interno di una prospettiva neuroscientifica come si inquadra la ricerca di senso sia come significato sia come “direzione” del nostro vivere?

La ricerca di un senso, oppure di un modello, è una caratteristica tipica degli umani. E’ stato dimostrato che dopo i quattro anni cerchiamo regole e senso anche in situazioni casuali producendo più errori dei bambini piccoli o degli animali che utilizzano strategie più efficaci (massimizzazione delle risposte).

Ritengo che la ricerca di senso sia collegata ad almeno tre aspetti: 1 l’autocoscienza; 2 la nostra capacità di ricordare il passato e immaginare il futuro; 3 il linguaggio, che permette la condivisione dei significati. Queste tre capacità ci pongono di fronte al mistero dell’esistenza nel mondo (autocoscienza), di un percorso di vita sostanzialmente imprevedibile (caos) e della necessità della fine (morte). È naturale che sorga la domanda sul senso di tutto questo. Ma è un bisogno che viene da dentro non una caratteristica del mondo.

Non è detto che ci sia una risposta, soprattutto una che ci piaccia. Le religioni danno soluzioni che a mio parere sono prevalentemente delle vie di fuga, utili dal punto di vista psicologico e anche terapeutico, ma è come voltare la faccia dall’altra parte. Le persone che raggiungono un livello più alto di maturità psico-spirituale devono imparare a mantenere un atteggiamento gentile e lievemente sorridente di fronte alle avversità della vita.

E quindi?

Come ho detto bisogna accettare i limiti e rimanere con consapevolezza ed equilibrio di fronte al dolore e al mistero, migliorando la conoscenza del mondo e di noi stessi e impegnandosi a costruire un mondo basato sul bene, cioè imparare a rinunciare alla violenza individuale e collettiva.

Lei scrive che la consapevolezza è collegata alla de-automatizzazione. Che cosa significa?

Per decidere come agire il nostro cervello elabora in continuo diverse simulazioni mentali del futuro. La libertà di cui disponiamo consiste nella capacità di scegliere quali di questi “progetti” realizzare, inibendo in modo volontario alcuni schemi ed azioni ritenute non utili o pericolose. Ma spesso non lo facciamo.

Tradizioni spirituali di tutti i tempi e luoghi sostengono che generalmente viviamo come ipnotizzati o sonnambuli. La nostra vita è costituita da un agire e reagire frenetico e automatizzato, spesso inconsapevole. Questa sorta di “automatizzazione”, un infernale meccanismo del “fare”, allontana dalla coscienza di sé, degli altri e del mondo che ci circonda.

Diversamente da tutti gli altri organismi viventi, gli esseri umani, grazie alla loro psiche, al linguaggio e alla cultura, sono – entro certi limiti – liberi di agire e di aspirare alla conoscenza consapevole e alla “sapienza”. Per questi motivi essi sono responsabili delle loro azioni costruttive (bene) e distruttive (male).

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Psicologo. Dopo più di 40 anni di lavoro nelle organizzazioni ha deciso di dedicare il suo tempo alla famiglia e allo studio delle religioni e della spiritualità nel mondo.

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