A 60 anni smetto

Capita spesso, parlando con amici e conoscenti, di intercettare progetti di vita che prevedono l’interruzione dell’attività lavorativa intorno ai 60 anni. A volte per noi stessi, a volte perché è un progetto di coppia.

Non è un obiettivo alla portata di tutti, per evidenti stati di necessità economica, ma in un buon numero di casi una corretta pianificazione, magari effettuata anni prima, può aiutare a realizzare il proprio sogno.

Sui perché c’è poco da dire e molto da immaginare: voglia di viaggiare, di fare i nonni, di potersi dedicare agli hobby spesso trascurati. Mai come durante l’epoca della pandemia, in Italia come negli Stati Uniti, molti lavoratori hanno iniziato a interrogarsi sul senso di correre e lavorare a perdifiato per un tempo indefinito, senza preoccuparsi della qualità della propria vita.

Ma cosa può fare, oggi, in concreto, un lavoratore, per poter inseguire questo sogno?

I requisiti base per accedere alla pensione pongono, per il biennio 2021-2022, il requisito di pensione di vecchiaia a 67 anni. Il requisito di pensione anticipata invece, pari a 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, consente uscite anticipate solo a chi ha iniziato a lavorare veramente presto, prima dei vent’anni, con una carriera continua e senza pause contributive.

Per tutti gli altri esistono regole alternative, ma specifiche. Come Quota 100, che sta andando ad esaurirsi a dicembre 2021, che consente di andare in pensione con almeno 62 anni di età e almeno 38 anni di contribuzione. Al momento le ipotesi sul tavolo per il suo superamento dal 2022 prevedono Quota 102, che necessiterebbe di almeno 64 anni di età ed almeno 38 anni di contribuzione, oppure la cosiddetta Quota 41, che poi quota non è: in questo caso sarebbero sufficienti, a prescindere, 41 anni di contribuzione per poter accedere al pensionamento.

Una possibilità peraltro attualmente concessa ai cosiddetti lavoratori precoci, che abbiano più di 12 mesi di contribuzione prima dei 19 anni, e che appartengano a determinate categorie, quali disoccupati, invalidi, care givers, occupati in lavori gravosi e usuranti.

Un’altra regola specifica è Opzione Donna, che consente alle lavoratrici dipendenti ed autonome di accedere alla pensione con rispettivamente almeno 58 e 59 anni di età, con almeno 35 anni di contribuzione. Un beneficio che può arrivare fino a 7 anni di anticipo sul momento della pensione, ma che prevede una forte diminuzione dell’assegno pensionistico, che può superare il 30%. Il valore della pensione viene infatti integralmente ricalcolato con il solitamente meno favorevole sistema contributivo.In questo caso ogni lavoratrice dovrebbe mettere sul piatto della bilancia il valore del tempo e quello del denaro, e poi effettuare la propria scelta.

Per quanto riguarda le regole pensionistiche vere e proprie, la lista delle principali regole finisce qui. Esistono altre possibilità, come l’APE sociale, che è una misura più assistenziale che previdenziale, riservata prevalentemente ai disoccupati, che consente di interrompere l’attività lavorativa a 63 anni, percepire un’indennità e poi riscuotere la normale pensione al raggiungimento del requisito di vecchiaia a 67 anni.

Guardando invece al mondo delle aziende, sono recentemente tornati al centro del dibattito due strumenti: l’isopensione ed il contratto di espansione. Si tratta di misure rivolte ai lavoratori dipendenti delle imprese che, nel primo caso possono anticipare fino a 7 anni il momento della pensione, nel secondo fino a 5 anni. In sostanza si tratta di accordi con il datore di lavoro, laddove l’azienda incentiva lo scivolo di uscita grazie ai meccanismi previsti dalla legge. Non si tratta di regole di semplice ed immediata attuazione, ma offrono una possibilità in più a lavoratori ed aziende. Anche in questi casi, per chi è attualmente occupato, il dilemma tra tempo e denaro è sempre presente: a quanto saremmo disposti a rinunciare, per poter smettere di lavorare prima?

Una diversa forma di flessibilità indiretta, riservata però solamente a chi ha potuto accantonare risorse significative in una forma di previdenza integrativa è data dalla RITA – Rendita Integrativa Temporanea Anticipata. Un lavoratore che intendesse smettere di lavorare fino a 5 anni prima del requisito di vecchiaia potrebbe attingere, in parte o completamente, a quanto ha accumulato in una forma di previdenza integrativa, riscuotendolo in forma di rendita temporanea fino al raggiungimento del normale requisito pensionistico. L’operazione avrebbe – naturalmente – il prezzo di svuotare le riserve accumulate per la propria pensione di scorta, e quindi va attentamente valutata. Per i disoccupati la possibilità di anticipo si estenderebbe addirittura fino ai 10 anni precedenti il raggiungimento del requisito di vecchiaia.

Naturalmente c’è infine una ultima possibilità teorica alla portata di tutti ed immediata: smettere di lavorare e basta. In questo caso, oltre naturalmente alla necessità di avere risorse economiche sufficienti che ci possano accompagnare fino al momento della pensione, è necessario verificare che l’interruzione dell’attività lavorativa, con il venir meno di contributi futuri, non sposti in avanti la maturazione dei requisiti. In questo caso solo una pianificazione molto anticipata potrebbe permettere di poter disporre delle risorse necessarie per affrontare gli anni senza stipendio e senza pensione.

Un ultimo pensiero, per concludere. Forse qualcuno si starà chiedendo perché non si faccia una riforma che liberalizzi l’età della pensione in modo tale da non costringere le persone al raggiungimento di requisiti stringenti. La risposta è: si potrebbe fare, ma non adesso e non con le attuali regole. La riforma Dini del 1995, dedicata ai lavoratori che hanno iniziato a lavorare dal 1996 e che hanno tutta la pensione calcolata con il sistema contributivo, già prefigurava la possibilità di scegliere l’età della pensione tra i 57 ed i 65 anni. Il valore dell’assegno pensionistico sarebbe stato più basso a 57 anni, perché maggiore era l’attesa di vita. Al contrario, un pensionato 65enne avrebbe avuto una pensione più alta, per via di una minor longevità attesa. Ma moltissimi dei lavoratori di oggi e dei futuri pensionati ricadono nel cosiddetto sistema misto, che ha una parte di pensione non legata ai contributi, ma proporzionale agli ultimi redditi. In questi casi andare in pensione prima o dopo fa molta differenza in termini di spesa pensionistica a carico dello Stato. Per questo motivo si sta ragionando di offrire ai lavoratori con il sistema misto la possibilità di “optare per il sistema contributivo”, come già accade per Opzione Donna, e ricevere in cambio una maggior flessibilità sul momento della pensione.

Probabilmente i nostri nipoti vivranno in un mondo pensionistico con maggiore flessibilità. Per i lavoratori di oggi invece, poter sognare di smettere di lavorare a 60 anni è possibile solamente attraverso un’attenta analisi delle normative ed una lungimirante pianificazione dei tempi e delle risorse della propria vita.

25 maggio 2021

Foto di pasja1000 da Pixabay

 

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Economista e Partner di Progetica

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