Marc Augé, etnologo e antropologo francese, discorre del tempo e delle età della vita in un libro dal titolo provocatorio: Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste (Raffaello Cortina Editore, 2014).
Siamo abituati alle ricette facili: “come sconfiggere la vecchiaia” è una promessa fin troppo frequente in articoli e libri che ci capita di scorrere. Augé non offre soluzioni, ma invita il lettore a riflettere sulla relatività della rappresentazione mentale della vecchiaia e su come questa muti a seconda della prospettiva dalla quale la si considera.
Augé pensa alla sua gatta Mounette che lo ha accompagnato in una parte del suo percorso di vita, dall’infanzia all’affacciarsi all’età adulta, invecchiando mentre lui cresceva, senza mutare troppo nell’aspetto. Da giovane Mounette graffiava le braccia del ragazzo che incauto la provocava, e sceglieva come rifugio privilegiato il piano più alto della credenza, per poter dominare la situazione. Con gli anni – maturando il padrone e invecchiando la gatta – smisero le provocazioni e i graffi, mentre il luogo del riposo diventava sempre meno ardito: dall’alto della credenza allo schienale della poltrona, poi alla seduta della poltrona, finché la poltrona stessa funse da soffitto.
Mounette ha attraversato placida le età della sua vita, adeguandosi nei comportamenti alle diminuite capacità fisiche, senza per questo mostrare segni di disagio. E’ l’uomo che – almeno nella cultura occidentale – perimetra il tempo tra una data nota, quella della nascita, e una data finale che ciascuno auspica più lontana possibile. Scrive Augé: “Il tempo è una libertà, l’età un vincolo. Un vincolo che apparentemente il gatto non sa cosa sia.”.
La vecchiaia esiste, dunque, e va accolta con il dovuto rispetto. Così come gli antichi, chiamavano le Erinni – dee della vendetta – Eumenidi o Benevole, per esorcizzarne il timore, allo stesso modo gli uomini hanno sempre cercato di compensare l’angoscia che evoca la vecchiaia valorizzandone i pregi, la saggezza anzitutto.
Augé ci ricorda, a questo proposito, quanto già Cicerone affermava nel De Senectute: La vecchiaia “non ha il monopolio della debolezza e della cattiva salute, che possono affliggere anche i giovani. D’altro canto, le persone anziane devono avere cura della loro salute fisica e intellettuale, quelle che in età avanzata regrediscono nell’infanzia venivano considerati poveri di spirito. Certo, la vecchiaia limita alcune attività e tuttavia non esercita alcun effetto nocivo sulla mente di chi non ha trascurato di conservarne la vitalità. In altre parole: dimmi come invecchi e ti dirò chi sei stato.”
Conosco la mia età, posso dichiararla, ma non ci credo”, scrive Augé, facendo notare che la nostra età è definita dalla percezione che abbiamo di noi stessi – e spesso questa non coincide con l’età anagrafica.
L’etichetta “età” è condizionata da molti fattori, storici, antropologici, psicologici e anche economici:
“La speranza di vita è anche un segno di ineguaglianza tra continenti e un indicatore di sviluppo. Nella mia veste di etnologo e viaggiatore non ho mai smesso di incontrare anziani che si sono rivelati più giovani di me quando io stesso non ero ancora molto vecchio. Nell’Africa Nera raggiungere un’età relativamente avanzata è un segno di forza. La prima volta che, in Costa d’Avorio, sono stato chiamato “Vecchio!” non avevo raggiunto i quarant’anni e mi sono sentito lusingato da questa dimostrazione di considerazione. Una sensazione ben diversa e opposta alla costernazione furibonda che ho provato, molto tempo dopo, quando uno sciagurato giovanotto ha fatto cenno di alzarsi per cedermi il posto in metropolitana.”
Il tempo senza età è dedicato a chi si affaccia all’ultima parte della vita, ma anche i giovani trarranno spunti di riflessione leggendolo. Tutto il libro, infatti, è un invito a vivere pienamente il presente, se non altro per evitare, per quanto possibile, di rimanere vittime delle due nostalgie di cui parla Augé: “Mi piacerebbe ritrovare quei giorni felici” e “Se avessi osato agire”.