La storia di: Gian Piero
21 aprile, tardo pomeriggio, Alzaia Naviglio Grande, Milano; di ritorno da un bel giro in bicicletta che mi aveva portato per un paio di ore fuori dalla normale routine lavorativa. Ero quasi arrivato a Milano quando improvvisamente vengo inseguito e attaccato da un cane che prima mi taglia la strada e poi inizia a ringhiarmi sulle caviglie. Invece di fermarmi e affrontarlo decido di seminarlo “alzandomi sui pedali” per distanziarlo. Errore micidiale!
In un attimo mi ritrovo sbattuto per terra, bicicletta a sinistra quasi finita dentro l’acqua del naviglio e io per terra, stordito, dolorante, incapace di muovermi e, quasi, di respirare.
Mi accorgo subito che mi era accaduto qualcosa di grave, le prime sensazioni sono di scoramento, di fortissima preoccupazione, di incapacità a fare qualsiasi cosa. Ho anche l’impressione di avere sbattuto la testa, di stare per svenire: per fortuna dopo scoprirò che il caschetto aveva fatto bene il suo lavoro di protezione.
Pian piano, dopo qualche interminabile minuto per terra da solo, iniziano ad arrivare altri ciclisti che subito si fermano, cominciano a parlarmi, a chiedermi come stavo, a rincuorarmi.
Capiamo che la gamba destra è in una posizione innaturale e che non riesco proprio a raddrizzarla: in venti minuti arriva l’ambulanza del 118 per trasportarmi al pronto soccorso.
E qui iniziano i dolori, quasi insopportabili, per spostarmi da terra sulla barella, poi sulla lettiga del pronto soccorso, poi in sala raggi, poi in astanteria. Momenti veramente difficili, in cui la mia unica richiesta era quella di avere anti-dolorifici che calmassero il dolore sempre più insopportabile.
Finalmente arriva la sentenza che avevo intuito: frattura scomposta della testa del femore, necessità l’indomani di intervento chirurgico.
Notte d’inferno, che non dimenticherò mai, in una stanzetta del pronto soccorso: dolore, preoccupazione, rabbia per quanto mi era accaduto e che percepivo ingiusto.
L’indomani al mattino presto decido di spostarmi in una grande struttura milanese di traumatologia e quando arrivo lì ricevo la seconda mazzata: un chirurgo gentilissimo e, al tempo stesso, sicurissimo di quanto mi diceva, mi spiega che il tipo di frattura richiedeva non un “semplice” intervento con “viti e placche” bensì una protesi completa dell’anca destra!
In meno di 24 ore passo da una situazione di assoluto benessere e ottima forma fisica per una persona di 55 anni ad una in cui stanno per impiantarmi una protesi di ceramica nell’anca destra!
Capisco che per loro è un intervento di routine ma per me è un cambiamento importante, improvviso, senza appello: potrebbe essere un’operazione lunga, dolorosa, anche rischiosa. Il dolore comunque ha il sopravvento su qualsiasi altra preoccupazione e non vedo l’ora di essere operato, cosa che avviene dopo un paio di ore, a circa 24 ore dall’incidente.
Da quel momento in poi inizia una lenta ripresa: il dolore post-operatorio viene controllato benissimo, la notte passa tranquilla, la mattina dopo posso fare colazione, una fisioterapista mi fa addirittura sedere sul letto. Qualche amico inizia a venire a trovarmi, ricevo tante telefonate, messaggini.
Cosa mi aiuta in quei primi giorni in ospedale? Sembrerà una banalità ma mi è molto utile pensare al bicchiere mezzo pieno: ero vivo, la testa a posto, in una struttura traumatologica di elite, in una bella stanza privata (per fortuna sono assicurato) piena di comodità, con mia moglie e i miei figli vicini.
Inutile pensare alla “sfiga” che avevo avuto, a tutte le cose che non avrei potuto fare nei prossimi due/tre mesi, al lavoro che perdevo. In una parola, mi ha aiutato tantissimo contare sulle cose che avevo, e che per fortuna erano molte, piuttosto che rimuginare su quelle che avevo perso, che non avevo più in quel momento.
Naturalmente ci sono stati anche i momenti brutti; dover accettare una trasfusione (che qualche brutto pensiero provoca sempre), rendersi conto di non essere autonomo rispetto ad attività che quando stiamo bene diamo per scontate: farsi una doccia, andare in bagno, mangiare quando si vuole. Dormire poco e male la notte, sempre supino, senza potersi girare. Sopportare i postumi per nulla piacevoli di una caterizzazione post operatoria.
E poi convivere con la spada di damocle della lussazione dell’anca: questa ho scoperto essere la grande complicazione dell’intervento a cui ero stato sottoposto. Certi movimenti erano vietatissimi, mi erano noti, mi erano stati spiegati; nonostante ciò, specialmente la notte, la preoccupazione di fare, o aver fatto, un movimento falso c’era eccome!
E poi dover dipendere completamente, almeno i primi giorni, dagli altri: la famiglia, il personale dell’ospedale, i medici. Non ci ero abituato, non mi piaceva affatto.
E poi dopo 15 giorni il rientro a casa. Da un lato bellissimo, dall’altro sconvolgente: la casa all’inizio non è fatta per accogliere una persona con il tipo di problema che avevo io. Velocemente abbiamo dovuto comprare sedie adatte, riadattare il bagno, attrezzare la vasca da bagno, risistemare il letto in cui iniziavo a dormire.
Una grande compagnia è stata la fisioterapia alla quale sono stato esposto sin dal giorno successivo all’intervento. All’inizio erano piccole cose, alcune anche spaventose: rendersi conto, ad esempio, di riuscire a muovere la gamba destra solo di qualche millimetro, il dolore e la paura nel fare alcuni esercizi, la preoccupazione di non farcela a tornare come prima.
E poi giorno dopo giorno vedere i miglioramenti, piccoli ma costanti. Riacquistare il controllo della gamba, rinforzarla, iniziare la rieducazione in piscina e palestra, risalire su una cyclette!
Oggi sono a circa otto settimane dall’intervento chirurgico: sto abbandonando l’ultima stampella, iniziando a camminare senza aiuto, cercando di vincere la preoccupazione (che esiste sempre in questi casi) di non riuscire a camminare come prima, come facevo fino a due mesi fa. E’ incredibile come funziona la nostra mente: ho scoperto che non riesco proprio a ricordare come camminavo, come mi sentivo prima dell’incidente. Mi sembra di ricordare solo questo periodo, le sensazioni che provo ora quando mi piego, quando cammino, quando faccio certi movimenti. Strana la mente … 55 anni cancellati in due mesi.
Cosa sto imparando su di me da questa esperienza?
Innanzitutto ho riscoperto la capacità di adattarmi alla situazione nuova, senza fare troppe storie, godendo di quello che avevo, che non era poco. Celebrando i piccoli successi: la prima doccia, iniziare a girarsi sul fianco la notte, smettere di farsi una punturina ogni sera per evitare trombosi, la prima cena al ristorante.
E poi la determinazione, la tenacia, nel lavorare con la fisioterapia per tornare il “meglio possibile”, per fare il mio meglio. So che alcune cose in futuro mi saranno precluse, ad esempio il jogging, le ferrate sulle dolomiti, le piste “nere” nello sci. Sono tutte cose che ho amato tantissimo e che, per evitare una precoce usura della mia protesi in ceramica, sarà meglio evitare. Me ne restano tante altre da fare, compresa l’amata bicicletta, se me la sentirò di risalirci senza paura.
Ricostruire una immagine di me diversa da quella passata è la cosa che mi sta venendo più difficile. Lo sport è sempre stato parte importante delle mie giornate; la vita all’aria aperta, specialmente nelle Dolomiti, ha riempito molte delle mie estati e dei miei inverni. Dovrò capire bene cosa potrò davvero fare, cosa mi sentirò di fare e a cosa non vorrò rinunciare. Sarà necessario trovare un equilibrio, per me accettabile, tra movimento, sport, vita all’aria aperta e necessità di non esporre troppo ad usura la protesi impiantata. Ho capito che, paradossalmente, ha meno problemi una persona di 70 anni che una di 55 anni: intanto 15 anni in meno di aspettativa di vita e poi minori occasioni di fare sport usuranti, di caricare eccessivamente sulla nuova anca.
Comunque c’è tempo per farlo, non c’è fretta: a sei mesi dall’incidente avrò le idee più chiare sul recupero, sull’energia a disposizione, su desideri e paure.
E le relazioni?
Qui ho avuto sorprese, positive e negative.
Alcune persone mi hanno stupito per vicinanza, calore, affetto; da alcune neanche me lo aspettavo.
Altre mi hanno proprio deluso. Le ho sentite lontane, poco comprensive della situazione. Alcune non le ho proprio né viste né sentite!
Ci sarà anche una mia parte di responsabilità ma certo non riesco a pensare che queste situazioni ti fanno scoprire, o riscoprire, persone deliziose e persone meno capaci di empatia, meno “umane”, meno vicine agli altri. Io ho appreso che è importante stare vicino a chi è in difficoltà: basta poco, un messaggino, una telefonata, rinunciare per un’ora alla solita routine e fare una piccola visita.
Anche questo sarà per me un apprendimento.
P.S.
Dimenticavo di scrivere che sono uno dei fondatori di Osservatorio Senior, ho quasi 56 anni, scrivo normalmente nella sezione Lavoro e mai pensavo che avrei dovuto scrivere questo articolo a causa di una uscita in bici.
Ho letto questo articolo un pò per caso navigando in rete…. Il 20/7/’19 mi è capitata la stessa cosa. Durante una gara cicloamatoriale, precisamente all’ultimo km c’è stata una caduta davanti a me, ho investito chi mi precedeva facendo un volo tremendo e atterrando sul fianco dx. Ho capito subito che mi ero fatto molto male ed il dolore era terribile…non parliamo poi del caricarmi in ambulanza e al pronto soccorso…. Anche a me dopo le radiografie è stato detto che l’unica cosa da fare era la protesi totale d’anca. Al S. Matteo di Pavia dove mi hanno portato dopo il disastro non potevano operarmi subito ed essendo di Piacenza, hanno contattato il polichirurgico della mia città ed in serata mi hanno trasferito. Ormai sono passati oltre 6 mesi dall’infortunio e diciamo che le cose vanno abbastanza bene, la difficoltà sta nel fatto che sono uno sportivo (ciclista) agonista e non credo di poter correre ancora. L’altra mia grande passione è la palestra, che fino all’anno scorso praticavo solo in inverno, ora invece ho già fatto l’abbonamento annuale, ed esco in bici solo il sabato e la domenica. Sicuramente questa sventura non ci voleva, ma se nulla è per caso, mi ha fatto scoprire una parte di me che probabilmente latitava, e se ce ne fosse ancora bisogno si vede chi nei momenti di difficoltà ti è veramente vicino. Accetterei volentieri consigli sul proseguo della mia vita sportiva.
Buona vita a Tutti
Luca, giovane 55enne
È proprio vero, è quando perdiamo quasi tutto, quando le cose e le persone a cui teniamo di più vengono a mancare, quando le nostre certezze si sgretolano, quando la vita ci colpisce duramente, che impariamo a conoscere noi stessi. Io non sono una sportiva, ma come Gian Piero e Luca, più o meno alla stessa loro età, le mia vita è crollata come un castello di carte. Mi sono rimasti il lavoro, i miei due figli e un’amica. E ho capito che quelle erano le cose davvero importanti, almeno per me. Tutto il resto potevo perderlo, ma avevo anche le risorse per ritrovarlo. Ho capito meglio chi sono e cosa voglio. Materialmente sono più povera, ma più ricca interiormente, e questo mi permette di vivere le relazioni personali (al lavoro, con gli amici, in famiglia, ecc.) in modo più autentico, sereno e appagante. In fondo, non è questo che conta davvero nella vita?
Ivana