Rischio obesità e rischio sottopeso
Differenze di genere, differenze sociali.
In un articolo precedente, si sono esaminati i consumi alimentari dei 55-64enni, rilevando come ridotte siano le differenze tra uomini e donne per quanto riguarda la tipologia dei cibi consumati, abbastanza consistenti quelle relative alle bevande alcooliche.
Può essere interessante verificare ora, sempre sulla scorta dei dati Multiscopo del 2015, elaborati autonomamente, se esistano anche differenze di genere per quanto concerne il rischio di essere sottopeso o sovrappeso, considerando a tal fine l’indice di massa corporeo (IMC), che l’indagine ha aggregato in 4 classi: sottopeso, normopeso, sovrappeso e obesità.
Anzitutto, come evidenzia la tabella n.1, decisamente contenuta (attorno al 2%) è la percentuale di chi è sottopeso, ma sono, invece, consistenti sia la quota di chi è obeso sia, ancor più, quella di chi è sovrappeso, pari rispettivamente al 14% e al 41,8%.
Tab. n.1 Distribuzione percentuale per classi di massa corporea a seconda del sesso (soggetti in età 55-64 anni)
U. | D. | Tot. | |
Sottopeso | 0,3% | 2,8% | 1,6% |
Normopeso | 32,9% | 51,1% | 42,6% |
Sovrappeso | 51,1% | 33,6% | 41,8% |
Obeso | 15,7% | 12,6% | 14,0% |
Tot. | 100,0% | 100,0% | 100,0% |
Certo, essere obesi ed essere sovrappeso delineano due situazioni ben diverse, da un lato in quanto all’interno del gruppo ‘sovrappeso’ possono esserci sia situazioni che rasentano l’obesità, sia situazioni in cui il peso ‘normale’ è superato di poco, dall’altro in quanto questa condizione è meno connessa al rischio di quelle patologie (da quelle cardiovascolari, al diabete, ad alcuni tipi di tumore) che vedono, invece, una forte associazione con l’obesità.
Tuttavia, qui ci interessa rimarcare due aspetti che accomunano obesità e sovrappeso.
Il primo è che entrambe riguardano maggiormente gli uomini – con scarti contenuti nel caso dell’obesità (15,7% contro il 12,6% delle donne), ma consistenti per i ‘sovrappeso’ (51,1% contro il 33,6%). Il contrario avviene, invece, per quanto concerne le situazioni ‘sottopeso’ che, tra gli uomini, sono quasi inesistenti (0,3% contro il 2,8% delle donne),
Il secondo è che, come mostra il grafico n.1, consistente appare, specie per l’obesità, la connessione con la condizione sociale, di cui il titolo di studio costituisce un buon indicatore sintetico. La percentuale di obesi passa, infatti, sia per gli uomini che per le donne, da circa l’8% dei laureati a circa il 20% di chi ha solo la licenza elementare.
Grafico n.1 Distribuzione percentuale per classi di massa corporea a seconda del sesso e del titolo di studio (soggetti in età 55-64 anni)
Vale a dire che mentre il rischio di essere sottopeso o sovrappeso è più connesso al genere (rispettivamente a quello femminile e a quello maschile), l’obesità è molto più connessa alla condizione sociale.
Diverse le considerazioni che questi dati suggeriscono.
In primo luogo, non è da sottovalutare il dato relativo alla presenza, tra le donne, di una percentuale anche se molto contenuta, di soggetti sottopeso, dato che alcune ricerche evidenziano come, specie nelle età anziane, ciò tenda a costituire un fattore di rischio rispetto al alcune patologie, in particolare quelle osteoarticolari o la stessa demenza.
Ben più preoccupanti sono, però, i dati relativi all’obesità o all’essere sovrappeso, dato che tali condizioni tendono a tradursi in peggiori condizioni di salute e in un conseguente aumento del rischio di mortalità.
In secondo luogo, la maggior diffusione del sovrappeso tra gli uomini suggerisce che più che la tipologia dei cibi consumati (che nell’articolo precedente avevamo visto essere molto simile per uomini e donne) ad influire sia, banalmente, la ‘quantità’ dei cibi consumati e, presumibilmente, il maggiore consumo di bevande alcooliche – più frequenti tra gli uomini che tra le donne.
Nello stesso tempo, si può ipotizzare che un ruolo non secondario lo abbia la maggior attenzione che le donne mostrano, di norma, per il proprio corpo, ossia che l’attenzione ai canoni estetici dominanti (centrati anche sull’essere ‘snelli’) si riverberi positivamente sui più complessivi stili di vita, con conseguenti effetti benefici sulla salute complessiva.
Infine, la maggior presenza dell’obesità tra chi ha una bassa scolarità suggerisce l’affermarsi, nelle generazioni meno anziane, di modelli alimentari meno salutisti, in cui trova spazio crescente il consumo di alimenti iper-proteici se non di vero e proprio ‘junk food’. L’obesità risulta infatti maggiore per chi consuma più frequentemente salumi, dolci e snack.
Vale a dire che, mentre a partire dagli anni ’50-’60, si è assistito ad un processo di omogeneizzazione dei modelli alimentari degli italiani (prima fortemente differenziati per condizione sociale ancor più che per sesso e classe di età), sintetizzabile nell’affermarsi di una dieta contrassegnata dalla presenza quotidiana di pane, pasta, latte, frutta e verdura e da quella plurisettimanale di carni, uova e latticini, con effetti di omogeneizzazione sociale e generazionale, negli ultimi anni si sta, presumibilmente, assistendo ad progressivo ridimensionamento di tale modello ‘unitario’, a favore sia di diete a marcato tenore ‘salutista’, sia di diete in cui sono iper-presenti proteine (specie animali), sia, infine, di diete connotate da quei consumi ‘junk food’ che, in Italia, si sono affermati solo negli ultimi decenni.
Poiché i dati suggeriscono che le prime due diete siano più diffuse nei ceti più scolarizzati, le seconde nei ceti più modesti, ne potrebbe derivare un ritorno a quelle forti differenziazioni che connotavano i consumi alimentari della popolazione italiana (e non solo) fino all’inizio del ‘900. Certo, tali differenziazioni saranno presumibilmente marcate, al contrario che nel passato, più dai complessivi modelli culturali che dal reddito ‘in sé’, ma non per questo saranno meno rilevanti per le ripercussioni socio-sanitarie che ne possono conseguire.
Carla Facchini è Presidente dell'Associazione Nestore, già Professore Ordinario di Sociologia della Famiglia, Universita Milano Bicocca.
L’alimentazione resta comunque collegata alla concreta preparazione dei cibi crudi e/o cotti che, ricade quasi esclusivamente su noi donne; il lavoro con ulteriori incombenze a noi delegato non favorisce, un sano ed equilibrato approccio alla dieta salutare quotidiana di tutta la famiglia, con il risultato di frettolose quanto insane abbuffate ! Se si potesse contare su mense sociali a prezzo contenuto per asporto e/o consumo al dettaglio, le scelte sarebbero meglio orientate alla salute fisica e mentale di ogni madre e moglie, senza escludere l’apporto prezioso di strutture adeguate ora carenti, gestite da società sportive e/o di benessere, adeguate ai tempi e agli scopi di ogni capo-famiglia !