Lei mi parla ancora

Pupi Avati ci ha appena consegnato “La quattordicesima domenica del tempo ordinario”, ultimo capitolo di quella che potremmo anche chiamare autobiografia cinematografica, per quanto a contenuto variabile e indefinibile di aderenza al suo vissuto reale.

Pupi Avati

Per poterne parlare un giorno, si prenda ora la rincorsa e si arretri su “Lei mi parla ancora”, uscito due anni fa, anche perché, se l’ultima sua pellicola ci offre una intensa interpretazione di Edwige Fenech in coppia con Gabriele Lavia, in “Lei mi parla ancora” il regista bolognese si prende lo sfizio di mettere accanto a Stefania Sandrelli un inedito, drammatico Renato Pozzetto.

E col suo magico tocco evocativo e nostalgico Avati racconta una storia di ragazzi e ragazze degli anni Cinquanta, una storia d’amore di cui vediamo subito la fine dolorosa, propiziata dal tempo e dalla malattia.

L’amore all’inizio ha il bel volto, sorridente e gentile, di Isabella Ragonese, Rina, che consegna al promesso sposo Nino (Lino Musella) una letterina nella quale lo invita a ricambiare il suo amore per sempre perché così diventeranno immortali.

E da vecchio, quando la sua amata Rina l’ha ormai lasciato solo, Nino apprende il senso della parola immortalità da una frase di Cesare Pavese, citata dal cognato (Alessandro Haber), col quale parla nonostante sia pure lui passato a miglior vita, mentre in riva al fiume Po, evoca i giorni belli in cui andavano a pescare e si dilettavano in citazioni di grandi poeti. E la frase è: “L’uomo mortale non ha che questo d’immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia”.

La storia messa in scena da Pupi Avati col consueto, finissimo gusto per l’illustrazione di gioiose giovinezze e mitiche epoche perdute, come gli anni Cinquanta nella bassa ferrarese, fra la pianura e il Grande Fiume, è la vera storia di Giuseppe Sgarbi (un inedito ed intenso Renato Pozzetto) e di sua moglie Rina Cavallini (avanti con gli anni ha le fattezze di Stefania Sandrelli), materia del libro “Lei mi parla ancora”, scritto appunto da Giuseppe Sgarbi, papà di Vittorio ed Elisabetta Sgarbi.

Il film di Pupi Avati non è tuttavia una biografia filmata, ha un respiro di fiction bello, largo e coinvolgente, a creare il quale concorrono diversi elementi. Innanzitutto, Avati non illustra il libro, bensì la nascita dello stesso, di modo che la vicenda si allarghi ed abbia echi e sviluppi – bella successione di rapide sovrapposizioni fra passato e presente – in tempi ed ambienti differenti.

E’ così che il corpo del film è costituito dal rapporto fra il vedovo Nino e il ghostwriter romano Amicangelo (Fabrizio Gifuni che è sempre un piacere dell’anima vedere all’opera a teatro come al cinema), che Elisabetta Sgarbi (Chiara Caselli) mette accanto al padre affinchè lo aiuti a scrivere la propria grande storia d’amore con Rina.

Assistere sullo schermo alla fine di un amore durato tutta la vita stringe il cuore e si vede come Avati sia abilissimo nel rappresentare la casa di campagna in cui vive Nino, amorevolmente accudito da devoti famigli, e colpisce la sua bravura nel mettere in scena il teatro dell’umano dolore.

E alla fine di questo giro intrigante fra libro e film viene il sospetto che la scrittura, oltre che la messa in scena, sia un potente antidoto contro il senso della fine che ci spia dietro l’angolo e ci tende continui agguati.

Quindi suonate la canzone della vostra vita, scrivetela, scriviamola sempre, o senior!

Lei mi parla ancora, 2021

Regia di Pupi Avati, con Stefania Sandrelli, Isabella Ragonese, Renato Pozzetto, Lino Musella, Fabrizio Gifuni.

Foto Marta, Lorenza e Vincenzo Iaconianni, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

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Boomer della prima ora, Fausto Bona, ora pensionato, è stato insegnante di lingua e letteratura francese al liceo e contemporaneamente animatore culturale del Circolo del cinema di Brescia. Continua a occuparsi di cinema in qualità di critico cinematografico del quotidiano “Bresciaoggi” di Brescia. Oltre al cinema, le sue passioni sono la montagna e la bicicletta.

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