Lavorare a 60 anni
Effetto della riforma pensionistica, ma, per le donne, anche effetto ‘generazione’.
Il gap tra occupazione maschile e femminile in Italia e in Europa.
In Italia, come noto, il tasso di occupazione della popolazione adulta è inferiore a quello medio dei paesi europei e tale divario è, in larga misura, riconducibile ad una minore occupazione femminile. Gli ultimi dati Eurostat, relativi al 2014, hanno rilevato (grafico n.1) che il tasso di occupazione della popolazione d’età compresa tra i 20 e i 64 anni, è stato pari, nel nostro paese, al 69,7% per gli uomini e al 50,3% per le donne, contro una media europea (UE-27) pari, rispettivamente, al 75,1% e al 63,5%. Vale a dire un 5,4% in meno per gli uomini, ma un 13,2% in meno per le donne.
Grafico n.1 Tasso di occupazione popolazione 20-64 anni per sesso – UE-27 e Italia.
Fonte Eurostat, 2015
Nello stesso tempo, i dati riportati nel grafico evidenziano che, nei paesi europei considerati, l’ultimo decennio ha visto una, seppur modesta, contrazione dell’occupazione maschile (dal 76,8% al 75,1%) e un, seppur contenuto, incremento di quella femminile (dal 60% al 63,5%). In Italia, il primo mutamento, relativo agli uomini, è stato più accentuato (si è scesi dal 74,8% al 69,7%), mentre il secondo, relativo alle donne, più attenuato (si è saliti dal 48,5% al 50,3%). L’intreccio di questi mutamenti ha comportato, da un lato, un approfondimento delle differenze tra l’Italia e gli altri paesi europei; dall’altro, un avvicinamento, a livello nazionale, tra i dati di uomini e donne.
Incremento dell’occupazione tardo adulta e mutamenti del sistema pensionistico
In questo quadro generale, è interessante verificare come si sia modificato, in Italia e nel resto dell’Europa, il tasso di occupazione delle persone tardo adulte e, in particolare di quello femminile.
Come mostra il grafico n. 2, il tasso di occupazione dei 55-64enni, pur continuando ad essere inferiore a quello medio della complessiva popolazione in età lavorativa, ha visto, in questi dieci anni, un consistente incremento in Europa sia per quanto riguarda gli uomini (dal 51,5% al 59%), che per quanto riguarda le donne (dal 33,5% al 45,4%); inoltre, in questo caso, l’incremento è stato particolarmente rilevante nel nostro paese, e specificamente per le donne (dal 20,8% al 36,6%). L’aumento del tasso di occupazione dei sessantenni in un contesto di stagnazione dell’occupazione complessiva deve essere letto contestualmente alla coeva diminuzione dell’occupazione giovanile, (non a caso particolarmente marcata proprio nel nostro paese) e suggerisce con forza che a livello macro vi sia stata una sorta di sostituzione dell’occupazione giovanile con quella tardo adulta.
Grafico n.2 Tasso di occupazione popolazione 55-64 anni per sesso – UE-27 e Italia
Fonte Eurostat, 2015
Alla base dell’incremento del tasso di occupazione di questa classe di età vi sono, ovviamente, soprattutto i provvedimenti legislativi che, in tutti i paesi europei, anche se con tempi e modalità difformi, hanno aumentato l’età per accedere alla pensione e, in particolare, per l’Italia, vi è la riforma ‘Fornero’ – DL 201, 6 dicembre 2011.
Tuttavia, quello che qui interessa rimarcare è che gli effetti del DL 201 sono (e soprattutto saranno nei prossimi anni) più consistenti per le donne. In primo luogo, l’età minima per la loro pensione di vecchiaia sarà portata (dal 2018) a 66 anni anche nel settore privato, quindi equiparata a quella degli uomini. In secondo luogo, le condizioni per la pensione anticipata (che sostituisce la pensione di anzianità, maturata sulla base del numero di anni di contribuzione) sono diventate molto più restrittive, di fatto rendendo l’istituto sempre più problematico per la popolazione femminile, la cui occupazione è più frequentemente connotata da periodi di non occupazione o di part-time.
… ma, per le donne, anche effetto generazione
Se il mutamento normativo gioca indubbiamente un ruolo rilevante sull’aumento dell’occupazione tardo adulta, su quello specifico delle donne giocano però anche i mutamenti, intervenuti negli scorsi decenni, nel loro livello scolare e nei loro modelli culturali. Il riferimento è al fatto che, a partire dagli anni ’60 si è verificata, come noto, un profonda trasformazione dei modelli identitari femminili che si è intrecciata (causa ed effetto insieme) con il forte incremento verificatosi in quegli anni, specie per le donne, del livello di scolarità superiore e universitaria.
Tale maggiore scolarità ha avuto importanti ripercussioni sul tasso di occupazione femminile, dato che il possesso di diploma e di laurea comporta, per le donne, una maggiore propensione a permanere nel mercato del lavoro anche dopo aver costituito un proprio nucleo familiare.
Diversi i fattori sottostanti tale relazione positiva: i migliori stipendi di diplomate e laureate rispetto a chi ha solo una scolarità di base che rendono più vantaggiosa la permanenza nel mercato del lavoro (o il maggior svantaggio ad uscirne) anche a fronte degli impegni familiari di cura derivanti dalla costituzione di una propria famiglia; la maggiore possibilità di chi ha un’elevata scolarità di accedere a lavori meno gravosi e con orari meno pesanti che quindi agevolano la conciliazione tra il ruolo lavorativo e quello familiare; lo stesso modello identitario sottostante, per le donne, la scelta di proseguire gli studi.
Ben evidenziano il ruolo giocato dal livello di scolarità sull’occupazione femminile i dati Multiscopo Istat che, per la consistente numerosità del campione indagato, permettono analisi dettagliate del fenomeno. I dati, ripresi nel grafico n.3, relativi al 2012, rilevano che, per la classe di età in questione, ossia quella tra i 55 e i 64 anni, il tasso di ‘casalinghitudine’ scende dal 50% circa di chi ha una scolarità molto modesta, al 40,6% di chi ha un scolarità media, al 22% circa di chi una scolarità professionale o superiore, al 12,5% delle laureate.
Grafico n. 3 Tasso di casalinghe tra le donne di 55-64 anni
Fonte: Istat, Indagine Multiscopo 2012
Vale a dire che alla base dell’aumento dell’occupazione femminile tardo adulta vi è anche l’incremento della scolarità degli anni ’60 e ’70. Incremento che si è tradotto dapprima in un maggior tasso occupazionale delle donne 20-30enni, ma, via via, si è esteso alle classi di età più elevate, arrivando ora a riguardare le attuali 55-64enni.
Ed è proprio perché le attuali 55-64enni sono le stesse ‘ragazze’ protagoniste dei mutamenti negli anni ’60-’70, che possiamo spiegare la loro incrementata presenza nel mercato del lavoro anche in termini di effetto ‘generazionale’.
Un effetto il cui ruolo tenderà a permanere, se non ad accentuarsi, nei prossimi decenni.
Con questo mi riferisco al fatto che, a partire dagli anni ’80, la scolarità superiore e universitaria si è ulteriormente espansa, specie per le donne, ripercuotendosi sulla maggior propensione delle donne adulte a permanere nel mercato del lavoro anche in presenza di responsabilità familiari. Risulta, quindi, ragionevole ipotizzare che, nei prossimi decenni, si assisterà ad un ulteriore aumento del tasso di occupazione delle cinquanta-sessantenni, con effetti certamente positivi su molti bilanci familiari e, in particolare, sulle condizioni economiche delle donne anziane, ma anche con effetti presumibilmente problematici sul fronte del sistema di cura. Le future 50-60enni, sempre più impegnate nel lavoro professionale saranno infatti, presumibilmente, meno in grado di supportare sia le giovani donne (di cui sono madri) che si affacciano al mercato del lavoro, sia i grandi anziani (di cui sono figlie) e che possono sperimentare lunghi anni di ridotta autonomia.
Ma ciò porrà problemi non piccoli all’assetto complessivo del sistema italiano dei servizi socio-assistenziali che, finora, è stato centrato soprattutto sulla solidarietà parentale e renderà necessario un ripensamento e uno sviluppo di quelle politiche sociali che, finora, sono state spesso carenti rispetto alle necessità di cura sia dei minori, sia degli anziani non autosufficienti.
Carla Facchini è Presidente dell'Associazione Nestore, già Professore Ordinario di Sociologia della Famiglia, Universita Milano Bicocca.