Avventurarsi fuori casa per la spesa
Cronaca di vita quotidiana da Milano, venerdì 20 marzo 2020.
Da anni vado al supermercato a fare la spesa, per fortuna intorno a casa le catene hanno aperto un po’ di market di piccole e medie dimensioni e lì mi servo. Di solito non sono particolarmente affollati, però in questo periodo avrei preferito evitarli per star lontano da occasioni di contagio, rispettare il “restiamo a casa” e utilizzare invece il servizio a domicilio.
Però ho rinunciato subito all’idea: alcuni parenti con difficoltà di mobilità mi hanno detto che il tempo di consegna di Esselunga è ormai di 15 giorni e che nelle ultime giornate non si riesce neppure ad entrare nel sito tanto è affollato. Ho cercato sul sito di Carrefour: alla prima schermata scrivono che (giustamente) in questo periodo il servizio lo offrono solo a chi non si può muovere o agli anziani, così lascio perdere, ho 64 anni e posso benissimo farcela da solo. Cerco anche sul sito di Conad, ma mi informano che nella provincia di Milano non effettuano questo servizio.
Visto che sto navigando in rete per questo motivo, scopro che si stanno moltiplicando le iniziative di associazioni di volontariato che portano la spesa a chi è in difficoltà (bravi!), che al Municipio 3 – all’insegna del “restate al domicilio” – la social street “Mi Faccio in 3” ha raccolto la disponibilità dei commercianti ad effettuare consegne a domicilio a chi ne ha bisogno, che in alcune zone della Francia i supermercati riservano l’ingresso per mezz’ora di mattina a chi ha più di 70 anni.
Bene!, io intanto devo andare a fare la spesa.
Quindi mi preparo: indosso pantaloni che poi cambierò al rientro a casa e un giaccone che poi terrò all’aria aperta tutta notte (solo di recente abbiamo scoperto che l’infame resiste sui tessuti e sulle superfici, per quanto tempo non si sa, anche dai cosiddetti “esperti” arrivano informazioni discordanti), mi infilo la mascherina (di quelle leggerine ma non ne ho trovate altre), calzo le scarpe dedicate a quando devo uscire che da qualche giorno lascio fuori dalla porta e scendo le scale a piedi per evitare che durante il tragitto dal sesto piano nel piccolo vano ascensore entri qualcun altro (anche se l’amministratore ha appeso l’avviso che in questi giorni si deve viaggiare solo uno alla volta, non si sa mai).
In giro poca gente, quasi tutta “mascherinata”, che scantona quando vede qualcun altro che sta incrociando sullo stesso marciapiede. Da tutto ciò sembra invece esente chi è uscito di casa per lavoro: trasportatori coi loro furgoni, impiegati che escono dalle filiali di banca per la sigaretta e a fare quattro chiacchiere, gli autisti al capolinea del bus, i tre giardinieri che stanno facendo manutenzione in un parchetto (ma è proprio necessario ora?) appiccicati l’uno all’altro e senza mascherina. Mi si accappona la pelle pensando alla situazione delle fabbriche e dei cantieri…
Arrivo al supermercato. Entro, mi infilo i guanti di plastica dati in dotazione per prendere frutta e verdura (che però oggi non toglierò fino all’uscita), poi impugno il carrello. C’è gente ma non affollamento, quasi tutti con mascherina, ci si muove lentamente attenti a stare distanti l’uno dall’altro, quando poi uno si mette a fare velocemente avanti e indietro da una corsia all’altra genera scompiglio e sguardi in cagnesco. Trovo tutto, a parte l’alcol, mi spiegano che da 15 giorni non arriva. Anche qui, chi lavora (addetti e cassieri) sembra su un altro pianeta: la metà senza mascherina (gestore compreso), parlano tra loro ravvicinati, non hanno nessuna attenzione nel tenere le distanze con i clienti. Evidentemente l’essere tutto il giorno al lavoro ed esposti riduce l’attenzione alle precauzioni e la percezione del rischio per sé e per gli altri.
Quando arrivo alla cassa, la cassiera è senza mascherina e senza guanti: sta per ore di fronte a centinaia di persone e prende in mano e restituisce oggetti toccati da altrettante persone: non c’è bisogno di essere un esperto di igiene sanitaria per capire che il rischio è altissimo: per lei, per me e per tutti gli altri che mi hanno preceduto e che seguiranno.
Quando torno a casa, le scale a piedi sono un po’ più faticose, lascio le scarpe fuori casa e disinfetto quel che mi riesce.
Dovrò ripetere l’operazione tra qualche giorno, non mi entusiasma l’idea.
Preferirei di gran lunga un vero coprifuoco con arresto di tutte le attività per quindici giorni piuttosto che uno stillicidio di mezze misure che ormai, qui a Milano, sta già durando da quasi un mese.
Enrico Oggioni ha realizzato ricerche sulla “vita nuova” e sulle “buone e cattive pratiche” dei senior, è autore del saggio “I ragazzi di sessant’anni”, è opinionista sul tema dei senior e presidente di Osservatorio Senior.