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Colesterolo alimentare: un po’ di chiarezza

Quando si parla di colesterolo generalmente si denota una spiccata diffidenza e avversione da parte della popolazione in genere contro questo componente lipidico dell’organismo, molto probabilmente a causa della sua implicazione nella formazione della placca arteriosa, con tutte le conseguenze negative che sappiamo.

Foto da Form Pxhere – CC0 Dominio pubblico

Gli anni passati sono stati pertanto teatro di una vera e propria “battaglia” contro il colesterolo di origine alimentare, battaglia iniziata negli Stati Uniti nel 1961, con l’avvertenza a diminuire a livelli minimi l’assunzione alimentare di cibi ricchi di colesterolo per evitare le più comuni malattie cardio-vascolari, quali infarto e ictus.

Attualmente invece molte linee-guida cardio-vascolari e nutrizionali hanno eliminato la restrizione dell’assunzione con il cibo, creando non poco sconcerto e non solamente tra le persone comuni ma anche tra medici e addetti ai lavori.

Per chiarire la questione, l’AHA (American Heart Association), uno dei massimi organismi mondiali che si occupa di malattie cardiache, ha pubblicato alla fine dello scorso anno un documento sul ruolo del colesterolo alimentare nella fisiopatologia cardio-vascolare: alla base esiste la consapevolezza di una scarsa evidenza scientifica (spesso anche contraddittoria) sul ruolo di questo componente dell’alimentazione, dal momento che la maggior parte degli studi osservazionali non riferiscono alcuna associazione tra alimentazione ed eventi cardio-vascolari, specificatamente per quanto riguarda le uova ed altri cibi ricchi di colesterolo.

La questione è inoltre complicata dal fatto che l’interpretazione dei dati è estremamente difficile, dato che i cibi ricchi di colesterolo sono anche contemporaneamente ricchi di acidi grassi saturi, sicuramente responsabili di effetti negativi sull’organismo. Distinguere però gli effetti causati da questi grassi da quelli causati dal solo colesterolo è tutt’altro che semplice, e come conseguenza l’AHA ha abolito il concetto di quantità “massima” di assunzione di colesterolo alimentare, raccomandando invece il ricorso alle sole due diete che possiedono dimostrata efficacia sul mantenimento dello stato di buona salute: la dieta mediterranea e la dieta DASH.

Foto G.steph.rocket / CC BY-SA via Wikimedia Commons (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)

Sulla prima non c’è molto da aggiungere a quanto è già noto: è un regime alimentare basato su alimenti il cui utilizzo è abituale nei Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo, con ampio uso di cereali, frutta, verdura, semi, olio di oliva e ridotto uso di carni rosse e grassi animali, consumo moderato di pesce, pollame, legumi, uova, latticini, vino rosso e dolci.

Già alcuni dietologi (Paul Carton e Maximilian Bircher-Benner) avevano avanzato l’ipotesi sull’efficacia preventiva cardio-vascolare di un regime basato sulla riduzione di alimenti di origine animale quali latticini, carne e uova. Il concetto di dieta mediterranea è stato introdotto e studiato inizialmente dal fisiologo statunitense Ancel Keys, il quale ne ha indagato gli effetti sull’incidenza di malattie cardiovascolari in una celebre ricerca su sette nazioni, il Seven Countries Study.

La dieta DASH invece è nata negli USA negli anni ’90 e prende il nome dalle iniziali di Dietary Approaches to Stop Hypertension (approcci dietetici per bloccare l’ipertensione), per cui si propone lo scopo principale non tanto di mantenere una buona salute in genere quanto di prevenire specificatamente i danni derivati dalla pressione alta. Negli Stati Uniti è stata eletta, dal 2011 al 2018 migliore dieta in assoluto, mentre nel 2019 il primo posto è stato conquistato dalla dieta mediterranea.

I punti fondamentali della dieta DASH sono i seguenti:

  • Riduzione drastica del consumo di sale (di fatto diminuzione o abolizione totale del sale da cucina come condimento e riduzione di quei cibi che ne contengono quantità elevate, quali salumi, formaggi e insaccati stagionati, salse confezionate, dadi di carne).
  • Consumo di abbondanti quantità di frutta e verdura, scegliendo in particolar modo i prodotti più ricchi di acqua (broccoli, finocchi, pomodori, spinaci, zucca per quanto riguarda le verdure; albicocche, ciliegie, mandarini e prugne per la frutta), con una grossa preferenza per la verdura fresca di stagione.
  • Adeguato consumo di cereali integrali e legumi, prediligendo quelli a basso indice glicemico.
  • Adeguato consumo di olio extravergine di oliva, pesce azzurro e frutta secca oleosa (il motivo di questa indicazione è legato alla presenza in questi alimenti di acidi grassi polinsaturi, benefici per l’apparato cardiocircolatorio).
  • Adeguato consumo di cibi contenenti elevate quantità di magnesio e potassio (per i loro positivi effetti sulla regolazione dei livelli di pressione sanguigna), quali banane, fagioli, piselli, asparagi, patate, albicocche, cavolfiori, spinaci, arachidi (per il potassio) e tutte le verdure a foglia verde, melanzane, legumi in genere, cereali integrali, frutta secca, mandorle, nocciole e cioccolato fondente (per il magnesio).
  • Riduzione del consumo di carni rosse, carni grasse, zucchero bianco e dolci in genere.
  • Abolizione dei cibi conservati in salamoia o sotto sale.
  • Abolizione degli alimenti affumicati.
  • Consumo giornaliero di almeno 1,5-2 litri di acqua oligominerale.
  • I carboidrati non sono proibiti, anche se le indicazioni parlano di “piccole porzioni”; si dovrebbe prediligere la pasta integrale.
  • Tollerati i latticini, anche se l’apporto proteico dovrebbe essere fornito soprattutto dal consumo di pesce, carni bianche e legumi.
  • Deve essere ridotto al minimo il consumo di alcolici, caffè, the e altre bevande contenenti caffeina.

Il documento dell’AHA sopra citato nasce per un eccesso di informazione e per una scarsa qualità dell’evidenza disponibile: tutti sappiamo che vengono pubblicati studi contraddittori, che un giorno si consiglia una cosa e il giorno dopo la si smentisce. Nella marea di notizie che circolano, inspiegabilmente ha prevalso negli ultimi anni un concetto di potenziale danno causato dal colesterolo contenuto negli alimenti, sulla base di studi osservazionali di qualità metodologica non elevata.

Da questo marasma erano scaturite le precedenti linee-guida dell’AHA che raccomandavano di non superare i 300 mg/die di colesterolo assunto con i cibi, quando poi nel 2013 l’ACC (American College of Cardiology) e l’AHA stessa hanno dichiarato che l’evidenza scientifica era insufficiente a raccomandare una restrizione alimentare. Infine, anche le più recenti linee-guida emanate dall’U.S. Department of Health and Human Services non pongono alcun limite alla quantità di colesterolo assunto mediante il cibo. Teniamo presente che l’assunzione giornaliera media di colesterolo attraverso gli alimenti è di 300-450 mg, che l’eliminazione con le feci è di 1.100 mg e che il contenuto di colesterolo nell’intero corpo umano è di circa 150 g, cioè di 150.000 mg. Quindi, non abbuffiamoci di colesterolo alimentare, ma non vediamolo nemmeno come un nemico da combattere: ne fabbrichiamo e ne conteniamo dentro il nostro corpo una quantità parecchie centinaia di volte superiore a quella che possiamo ingerire con il cibo; non sarà sicuramente un uovo in più o una fetta di formaggio a farci del danno.

Bibliografia = Carson JAS et al. Dietary cholesterol and cardiovascular risk: A science advisory from the American Heart Association. Circulation 2019 Dec 16

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