Differenze tra generazioni in azienda? Da valorizzare
Per favorire l’inclusione nelle organizzazioni bisogna superare l’approccio per categorie (i senior, le donne, i disabili) a favore di uno per competenze e valore. Ecco cosa sta emergendo da un progetto di ricerca.
A luglio di quest’anno la Società MIDA in partnership con l’Università Cattolica, hanno avviato un progetto di ricerca sulla valorizzazione delle differenze in Azienda. Il progetto si sviluppa in due parti. La prima, conclusa il 15 di ottobre con la presentazione del report, ha coinvolto 53 organizzazioni di tutte le dimensioni ed aree di business. La seconda, che partirà a novembre, prevede per ciascuna organizzazione una indagine su tutto il personale con un report personalizzato ed uno globale.
Nella prima parte sono stati coinvolti i responsabili aziendali del tema DE&I (Diversity, Equity & Inclusion) in una intervista semi strutturata i cui risultati, anonimizzati, sono stati analizzati secondo 4 grandi capitoli: la rappresentazione della differenza, il significato del conflitto, le policy e le azioni.
Vediamo alcuni risultati che interessano in particolare il tema della diversità generazionale.
Un primo dato è che le iniziative rivolte al tema generazioni sono le più numerose dopo il genere e prima di cultura, disabilità e LGBTQI+.
Un secondo elemento particolarmente interessante è che si amplia il numero di aziende che intervengono su tutto il ciclo di vita dei loro dipendenti, dai giovani ai pensionandi, adottando una prospettiva realmente di Age management piuttosto che di solo Senior management.
Quest’ultimo dato si spiega con la constatazione che lavorare per categorie, le donne-i senior-i disabili, non favorisce l’inclusione intesa come valorizzazione delle specificità di cui tutte le diversità sono portatrici, ma rinforza la ghettizzazione dei “diversi”, cosa a cui i Senior spesso reagiscono respingendo l’identificazione (“l’età è quella che si sente non quella che si ha”), e rinforzano la spinta all’omologazione.
L’interpretazione della Differenza nelle organizzazioni è un altro tema rilevante. Ne è stata indagata la percezione in senso generale, trasversale a tutte le diversità. Le interpretazioni prevalenti sono tre:
- La differenza come tratto universale che ognuno porta con sé e che per essere valorizzata richiede la profonda consapevolezza di sé e dell’altro prima che azioni istituzionali.
- La differenza come valore, opportunità ed anche necessità, fonte di apprendimento e di ricchezza. Collegato a questa prospettiva è la consapevolezza della sua difficile applicazione concreta che richiede competenze e mentalità coerenti (ad oggi poco diffuse).
- La differenza come deviazione dallo standard, discontinuità che può confliggere con efficienza ed efficacia. Questa prospettiva porta con sé reazioni di fatica e stimola resistenze al processo di inclusione.
Ciascuna di queste prospettive ha delle conseguenze nella scelta delle strategie e delle iniziative delle singole organizzazioni.
Strettamente collegata all’interpretazione delle differenze è la percezione del conflitto. L’ipotesi della ricerca è che l’accoglimento e la valorizzazione delle differenze favorisca l’emersione del conflitto e dello scontro. A questo proposito emergono due punti di vista principali:
- Il conflitto come “fallimento” perché considerato un modo sbagliato di convivere, che non deve esistere e che è meglio non far emergere (conflitto negato)
- Il conflitto come poco generativo. In questa prospettiva il conflitto è inevitabile ma va “ridotto” attraverso il confronto e la collaborazione con il rischio di appiattimento al ribasso.
Rileggendo attraverso queste lenti l’esperienza delle politiche e delle pratiche che la maggioranza delle aziende italiane hanno portato avanti sul tema dei Senior, se ne possono ricavare alcune considerazioni.
La prima è che bisogna superare l’approccio per categorie a favore di uno per competenze e valore. Chi possiede competenze utili all’organizzazione deve essere utilizzato soprattutto per queste: chi ha esperienza e mestiere, chi cultura e pratica digitale.
Che i primi siano tendenzialmente i senior ed i secondi i giovani non è influente. Non è la categoria che discrimina ma il possesso di qualcosa che può servire all’organizzazione perché porta valore. È chiaro che un approccio del genere apre anche a tutta una serie di competenze che spesso rimangono fuori dal perimetro considerato dalle aziende, per esempio quelle maturate con le attività di volontariato o l’hobbistica o le esperienze di vita che danno alle persone una ricchezza che le aziende si perdono e che invece potrebbero utilizzare.
Una seconda e più generale considerazione è che fino a quando il ruolo che le persone occupano non terrà conto delle loro caratteristiche e l’organizzazione non sarà un po’ più flessibile ed adattabile, non si potrà parlare di inclusione se non nel senso di omologazione. Se si vuole valorizzare le diversità si deve dare a queste l’opportunità di esprimersi nel lavoro che le persone svolgono. Autonomia e possibilità di decidere sono le due condizioni fondamentali perché questo avvenga.
Il grande interesse che il tema DE&I suscita in questi anni, testimoniato anche dalla massiccia adesione al progetto di ricerca MIDA – Università Cattolica, dice che ci sono le condizioni per fare una revisione ampia e profonda del modo di lavorare a vantaggio di tutte le diversità compresa quella della seniority.
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Psicologo. Dopo più di 40 anni di lavoro nelle organizzazioni ha deciso di dedicare il suo tempo alla famiglia e allo studio delle religioni e della spiritualità nel mondo.
Le discriminazioni in qualsiasi campo apportano differenze e difficoltà. Le generazioni devono incrociarsi e necessariamente interagire per completarsi a vicenda ed ottenere incentivi a cooperare. Con tolleranza e intelligenza si può ottenere profitto e competenze compensative. Dove esistono reali bisogni evolutivi le diversità spronano con stimoli a superare e superarsi.