Meglio i senior dei giovani sul lavoro?

Lo scorso dicembre è apparsa su alcuni quotidiani una curiosa notizia: un imprenditore di Vicenza ha scelto di assumere nella sua azienda casearia, che conta più di mille dipendenti nel mondo, solo persone over 60.

Il motivo? A suo giudizio avrebbero maggiore esperienza (e fin qui nulla di sorprendente), ma anche più energia, dedizione e passione per il proprio lavoro. E la decisione è maturata dopo un periodo caratterizzato dall’inserimento di ventenni e trentenni, che però non si sono rivelati all’altezza della situazione.

Solitamente le aziende, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, e fra di esse in particolare le multinazionali, tendono ad assumere in prevalenza persone giovani: questioni di costo (è quasi certo che, a parità di ruolo ricoperto, un trentenne abbia una retribuzione più bassa rispetto ad un cinquantenne), di spendibilità futura (le aziende più illuminate formulano solitamente piani di carriera per i giovani lavoratori, prevedendo per loro incarichi di crescente responsabilità nel tempo, cosa non realizzabile con chi ha di fronte a sé ancora pochi anni di lavoro prima di raggiungere l’età pensionabile) e di flessibilità (un giovane è ritenuto più adatto  per operazioni di mobilità all’interno dell’azienda, compresa la mobilità geografica, magari all’estero).

E’ vero però che negli ultimi anni sempre più spesso nel mondo del lavoro si sentono formulare giudizi poco lusinghieri nei confronti delle nuove generazioni: queste vengono considerate in generale incostanti e volubili, poco propense al sacrificio, confuse circa gli obiettivi professionali da perseguire, poco disposte ad attendere i giusti tempi per ottenere una crescita professionale ed eventuali sviluppi di carriera.

In ogni tempo le risorse senior hanno avuto modo di farsi apprezzare sul lavoro per alcune caratteristiche professionali, ma anche per certe doti umane, che derivano necessariamente dall’età e dall’esperienza, e che difficilmente possono essere riscontrate nei più giovani. Posso citare al riguardo un’esperienza personale: come Direttore delle Risorse Umane di grandi aziende mi è capitato, proprio seguendo il trend che abbiamo ricordato sopra, di assumere persone molto giovani (poco più che trentenni) per ricoprire posizioni anche di grande responsabilità, come quella di Direttore Generale.

Si trattava senza dubbio di giovani manager di grande potenziale, brillanti, estremamente ambiziosi, dotati di notevole intelligenza e con una spiccata leadership, in grado dunque di gestire il business e le risorse loro affidate con grande efficacia e ottenendo importanti risultati. Ma sul lavoro, come nella vita, vengono anche i momenti difficili, dove l’intelligenza e l’ambizione non bastano più: in diverse occasioni ho visto giovani manager andare in crisi, schiacciati dal peso psicologico di situazioni o decisioni molto difficili, fino ad arrivare a vere e proprie crisi di pianto.

La morale che possiamo ricavarne è che l’equilibrio, lo spessore umano, la maturità nella gestione delle relazioni e delle situazioni sono doti che si conquistano solo con l’età e con l’esperienza. Una volta si parlava di saggezza, parola oggi fuori uso, sempre meno presente nel vocabolario utilizzato in ambito professionale.

Vale la pena chiederci: è ancora oggi utile la saggezza sul lavoro? Al di là del termine, che può suonare in effetti desueto, è importante ragionare sul suo significato. I dizionari riportano questa definizione: essere saggio significa avere la capacità di modulare i propri comportamenti e giudizi sulla base della ragionevolezza, controllando le passioni e i desideri, e utilizzando equilibrio e prudenza nella valutazione di situazioni e nella presa di decisioni, il tutto come conseguenza dell’esperienza e della maturità conquistate negli anni.

Difficile pensare che le aziende possano fare a meno di queste doti, soprattutto in certi frangenti e per affrontare snodi particolarmente critici della propria storia. E, di conseguenza, è difficile pensare che si possa continuare a portare all’estremo la scelta di puntare solo o prevalentemente sui giovani, rinunciando a figure più senior che possano assicurare maggiore equilibrio e maturità all’interno del tessuto organizzativo, aiutando oltretutto i più giovani ad acquisire a loro volta equilibrio e maturità grazie all’affiancamento ed all’esempio.

Cosa succederà quindi nel prossimo futuro? Dobbiamo aspettarci molti altri casi sull’esempio di quello citato all’inizio, con inserimenti sempre più crescenti di personale senior? Forse sì, almeno in parte, ma è difficile pensare che il fenomeno possa assumere dimensioni significative. Si può però fare tesoro dell’esempio del nostro imprenditore vicentino, ricordando a tutti come non è possibile rinunciare in ogni ambito della vita (vale sul lavoro, ma anche in famiglia, nello sport, nel tempo libero) della saggezza dei senior, e come questi debbano acquisire sempre maggiore consapevolezza della loro importanza: la strada non è quella di fingersi giovani, e cercare di replicare le idee, i comportamenti e le attitudini delle nuove generazioni.

Ciò che i senior devono fare è invece valorizzare sempre più ciò che li caratterizza, quelle doti che hanno maturato col tempo, sperando di incrociare sulla loro strada imprenditori e manager illuminati che ne riconoscano l’importanza e decidano di puntare su di loro.

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Foto di cottonbro studio da Pexels 

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Marco Ronchi è Senior Consultant di AIMS International, società di Executive Search. In precedenza ha operato a lungo nelle Direzioni HR di aziende italiane ed internazionali.

Un Commento

  1. Bruno 7 Febbraio 2024 at 13:59 - Reply

    Per decenni ci hanno colpevolizzati e spinti a metterci in pensione anticipata, oggi il mondo del lavoro si rende conto della ENORME fesseria perpetrata ! E i giovani “non ce la fanno” perche’ non c’e’ piu’ nessuno che insegna loro e che li accompagni nell’inserimento al lavoro ! L’uomo e’ sempre piu’ stupido !!!

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