Il caffé ha dei vantaggi?

Su quella che è una delle bevande più amate dagli Italiani e di cui sentono maggiormente la mancanza quando si recano all’estero, il caffè, esistono molte convinzioni, alcune giuste (è un eccitante, non lascia dormire) alcune errate (aumenta la pressione, fa male al fegato), per cui ogni tanto vengono realizzati studi per convalidare o smentire questa o quella opinione.

In base ad uno studio di coorte (cioè un tipo di studio condotto su campioni di popolazione aventi qualche caratteristica in comune, quale ad esempio la residenza in case di riposo oppure la presenza di una medesima patologia), il consumo moderato di caffè si associa ad una diminuita mortalità e può far parte di una dieta sana (Annals of Internal Medicine 2017; 167:236, 228: Moderate Coffee Intake Can Be Part of a Healthy Diet), ma non è stato chiarito se questo vantaggio possa essere posseduto dal solo caffè oppure possa essere mantenuto anche dopo che il caffè venga dolcificato con zucchero o prodotti chimici.

Di conseguenza alcuni ricercatori nel Regno Unito hanno esaminato una coorte di oltre 170.000 soggetti (età media 56 anni), non affetti da malattie cardio-vascolari o tumorali, suddividendoli in 4 gruppi: consumatori di caffè zuccherato, consumatori di caffè amaro, consumatori di caffè con dolcificanti e non consumatori di caffè.

I risultati sono stati aggiustati per fattori riferiti allo stile di vita (tra cui il tipo di alimentazione, l’uso di alcolici, l’abitudine al fumo, l’intensità dell’attività fisica), alla condizione socio-demografica e ad altre variabili cliniche. Rispetto ai non bevitori di caffè, quelli che consumavano caffè, sia dolcificato sia amaro, hanno presentato una mortalità nettamente inferiore dopo un periodo di 7 anni, con un’associazione risultata massima per un consumo di 2-4 tazze al giorno (Hazard Ratio, cioè Rapporto di Rischio = 0.7: in pratica ogni 10 decessi di non bevitori si sono verificati 7 decessi di consumatori di caffè), mentre l’associazione è risultata statisticamente meno incisiva per chi utilizzava meno di 2 o più di 4 tazze al giorno. I risultati non sono stati influenzati dal tipo di dolcificante utilizzato (zucchero, saccarina, aspartame o altri) e nemmeno dal tipo di caffè (in chicchi macinati, solubile, decaffeinato).

I fattori che possono influenzare risultati come questi sono numerosi, e stabilire quindi un rapporto causale è praticamente impossibile, oltre che metodologicamente scorretto. Lo studio di coorte è per definizione uno studio longitudinale, che si limita a registrare quanto avviene in un determinato periodo di tempo, senza utilizzare metodi che potrebbero stabilire un rapporto causa-effetto. Quindi sarebbe sbagliato dedurre da questo studio che sia preferibile bere il caffè, ma sicuramente se ne può trarre la conclusione che non è quel veleno che molti ritengono sia.

Se per caso effettivamente il caffè possedesse dei meriti protettivi, questi potrebbero dipendere dagli acidi clorogenici, di cui è ricco, che – assieme alla caffeina – esercitano un effetto antiossidante ed inibitore dell’aggregazione piastrinica. Gli acidi clorogenici (CGA) sono un gruppo di sostanze chimiche che presentano una struttura molecolare simile; quello contenuto in maggior quantità nei chicchi di caffè è l’acido 5-caffeoilchinico, che nel corpo viene metabolizzato nei suoi componenti chimici, l’acido chinico e l’acido caffeico. Altri CGA sono l’acido dicoffeoilchinico, il feruloilchinico e il cumaroilchinico, le cui concentrazioni relative nei chicchi di caffè ne determinano il sapore e l’aroma.

L’azione antiossidante di queste sostanze naturali è stata effettivamente dimostrata da esami di laboratorio, ma la sua importanza clinica è minima, per cui non ci si deve illudere che il caffè possa esercitare azioni preventive – ad esempio – sull’evoluzione del diabete mellito, come è stato ipotizzato da alcuni ricercatori: semplicemente, anche se non avesse alcun merito, in base a questo ampio studio certamente non è incolpabile di demeriti importanti, a patto che venga consumato in quantità ragionevolmente limitate (non oltre i 100 ml al giorno: 3 tazzine di espresso, per intenderci, evitando il caffè lungo (che non fa meno male, anzi) e il ristretto (che invece è sicuramente meno benefico).

foto Alessandro Biascioli su licenza iStock

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Laureato in Medicina all’Università di Torino nel 1973, è stato Medico Ospedaliero e Medico di Assistenza Primaria presso l’ASL di Fossano. E’ stato Consulente redazionale di importanti riviste mediche e, dal 2003, è Consulente scientifico del portale www.paginemediche.it, per quanto concerne l’aggiornamento riservato ai Medici.

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