Intervista a Marco Bersanelli: ordine e caos nell’Universo

Il nome di Marco Bersanelli me lo ha fatto Guido Tonelli, il fisico di cui recentemente abbiamo pubblicato l’intervista. Gli ho chiesto di mettermi in contatto con uno scienziato credente per capire come stanno insieme una vita dedicata alla ricerca e all’approfondimento delle leggi naturali utilizzando metodi scientifici rigorosamente razionali, ed un credo che va oltre tutto questo.

Marco Bersanelli

Marco Bersanelli è docente di Astronomia ed Astrofisica presso l’Università degli studi di Milano. Ha svolto un ruolo importante nella ricerca e nella divulgazione scientifica. Le sue ricerche si concentrano principalmente sulla cosmologia e la radiazione cosmica di fondo, cioè la radiazione residua del Big Bang da cui è nato il nostro Universo circa 14 miliardi di anni fa.

L’ultimo libro che ha scritto, Il grande spettacolo del cielo, ha fatto da sfondo al nostro colloquio.

Come si diventa uno dei grandi astrofisici italiani?

Nel mio caso è stata una passione precoce. Già a 12-13 anni sentivo una forte attrattiva per il cielo, un desiderio forte, anche se confuso, di sapere cosa c’è oltre a quello che possiamo vedere. Ho frequentato il liceo e ho avuto le prime risposte scientifiche. Quando poi ho dovuto scegliere il percorso universitario ho tentennato un po’ perché nel frattempo mi ero innamorato di due giganti della letteratura come Dante e Leopardi, che in modo forse irripetibile sono riusciti ad esprimere una visione poetica del cosmo. Alla fine ho seguito la prima vocazione e mi sono iscritto a Fisica, ma non li ho mai abbandonati e ancor oggi quando posso mi dedico alla loro lettura.

Tornando al mio percorso, dopo la laurea sono andato negli Stati Uniti dove per un po’ di anni ho lavorato in un gruppo di alto livello guidato da un futuro premio Nobel. Sono stato in Antartide due volte con gruppi di ricerca sperimentali e poi, per quasi 30 anni, mi sono dedicato anima e corpo alla missione spaziale Planck dell’ESA (l’Agenzia Spaziale Europea) che ci ha dato l’immagine più accurata dell’Universo primordiale, com’era all’inizio della sua espansione.

Che relazione c’è tra due grandi poeti e lo studio del Cosmo?

Sia Dante che Leopardi offrono uno sguardo che abbraccia le domande di senso sull’Universo e sul posto che noi occupiamo nella natura.

Domande che a mio avviso sono cruciali anche come motore della ricerca scientifica. Perché noi siamo così desiderosi di sapere come è fatto l’Universo? Perché non possiamo farne a meno? Alla base c’è una spinta originata dal bisogno di comprendere il senso di ciò che vediamo: la ricerca è un modo per rispondere a questo bisogno.

Oggi la ricerca è estremamente specialistica e settorializzata, e mi sembra che manchi uno sguardo che aiuti a tenere aperte queste domande.

I poeti le danno anche delle risposte?

Mi aiutano a mettere a fuoco le domande. Leopardi, soprattutto lui, non lascia tregua sulle grandi questioni di senso. Un inizio di risposta per me è venuto quando molti anni fa ho incontrato l’esperienza cristiana. Ma la risposta a un’esigenza fondamentale non cancella la domanda, anzi, la rende più grande. Come quando si incontra la persona amata: si apre una storia nuova, ma non si è mai finito di conoscersi e la voglia di farlo aumenta.

Secondo lei arriveremo a conoscere tutto dell’Universo e delle leggi che lo governano? 

Credo di no, anche se non posso dimostrarlo. La scienza moderna ha portato a un incremento inimmaginabile della conoscenza della realtà fisica, anche in condizioni lontanissime dalla nostra esperienza diretta, ma ogni volta che siamo convinti di aver capito tutto o quasi, c’è qualcosa che non torna e che apre a scenari totalmente inaspettati. E’ accaduto così all’inizio del secolo scorso, quando la fisica classica sembrava dar conto di tutto, salvo qualche piccolo dettaglio; ed ecco che teoria della relatività e la meccanica quantistica hanno rivoluzionato la scena. Oggi in cosmologia abbiamo un modello con dei parametri misurati che sembrano spiegare bene la dinamica e la geometria dell’Universo, ma il 95% della sua sostanza è fatta di componenti che non comprendiamo: non a caso le abbiamo chiamate “oscure”. Sappiamo che è di due tipi: materia ed energia, e quanta deve essercene di ogni tipo, ma non sappiamo di cosa stiamo parlando.

È un Universo comprensibile ed ordinato, ma anche inesauribile. Si lascia conoscere, ma mai completamente.

L’ordine dell’Universo può essere casuale?

Secondo me è importante distinguere il “caso” dal “non senso” che invece spesso nel linguaggio ordinario sovrapponiamo. La relatività generale indica previsioni esatte dei fenomeni gravitazionali. La fisica quantistica, d’altra parte, dimostra che c’è un limite intrinseco nel descrivere i singoli eventi a livello sub-atomico. Insieme descrivono un Universo in cui l’elemento indeterminato e quello determinato si combinano e lo rendono un luogo ricco e armonico, in cui la casualità gioca un ruolo importante, ma non elimina affatto il senso.

Questo ordine a mio parere è il segno di qualcosa di più grande che contiene tutte le cose. Lo dice bene Dante: “Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa simigliante”. La realtà può essere guardata come segno di un senso ultimo, in cui anche il destino di ciascuno è abbracciato.

La parola “senso” per lei vuol dire che ha un significato o che ha una direzione?

Entrambi. L’essere umano ha un “senso” perché ha una dignità che va oltre la misura, un valore irriducibile. E ha anche un destino, una direzione, è l’attesa di un compimento. E così anche l’Universo.

Il “senso” che lei descrive viene da dentro o da fuori l’essere umano?

Quello che viene da dentro è l’esigenza, la nostalgia di un significato e di una direzione. Ma la risposta non riusciamo a darcela da soli, viene da fuori. La meraviglia che ci prende quando guardiamo la realtà è il primo segno che una risposta ci deve essere.

Siamo in chiusura. C’è qualcosa che non abbiamo detto e che invece lei ritiene importante per concludere?

Dobbiamo essere attenti al modo in cui insegniamo la scienza ai giovani. Spesso la raccontiamo come un sistema chiuso, un modo di conoscere la realtà che basta a se stesso. Secondo me sarebbe invece importante non isolare la scienza dalle grandi domande. Se no, più si conosce più ci si inaridisce, si sminuzza il capello in cento parti e sembra di averne colto il senso, perdendo di vista che il senso è il capello intero!

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Foto di Marco Bersanelli: da https://www.flickr.com/photos/meetingdirimini/51400614857/ via Wikipedia , Creative Commons Public Domain Mark 1.0

Foto del cosmo di Peter Schmidt da Pixabay

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Psicologo. Dopo più di 40 anni di lavoro nelle organizzazioni ha deciso di dedicare il suo tempo alla famiglia e allo studio delle religioni e della spiritualità nel mondo.

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