Aspettando quota 100

La prossima settimana mio fratello va in pensione! Invidia!! Mi parte in automatico l’analisi delle mie possibilità: ho sessant’anni, 38 di contributi, un po’ stanco (ma questo non conta, non fa media). Quota 100? Non l’anno prossimo. Forse tra 2. Ma vai a sapere! Sarà vero o no? E se anche fosse, sarà una tantum o strutturale? E poi quale sarà la penalizzazione? E se poi dovessi superare i 4500 euro (non credo proprio) ci sarà la riduzione? O sono 4000?

Non posso rimanere in bilico per tutto questo tempo tra i sì, i no, i forse.

Non mi piace ma non dipende da me. Decideranno altri, sulla base di criteri e priorità che non sono i miei. Nel frattempo cosa faccio? L’incertezza è un disastro!

Continuo a lavorare, naturalmente. Cosa posso fare di diverso?

Forse rivedere il modo con cui sto al lavoro. Mio fratello nelle ultime settimane ha avuto in affiancamento la persona che lo sostituirà. Viene da fuori, mi ha raccontato. Non conosce né l’Azienda né il lavoro e avrebbe avuto tutto da guadagnare ad ascoltarlo. Ma pare che non l’abbia fatto. Forse per presunzione o per sottovalutazione delle difficoltà (che è lo stesso in fondo). Mio fratello non se l’è presa. Strano conoscendolo. Ma forse non tanto se si pensa alla situazione: mancano poche settimane, perché farsi il sangue amaro per qualcuno che non si sta comportando come faremmo noi?

Perché non riusciamo a prendere un po’ di distanza dalla parte faticosa del nostro lavoro? Il termine “faticoso” è una sintesi estrema di tutto ciò che sul lavoro non ci piace: il collega, il capo, i clienti, il risultato da assicurare, le scadenze da rispettare… ognuno ha i suoi “stressor”, così si chiamano le cause di stress. Il fatto che ognuno abbia le sue è positivo. Perché vuol dire che non sono le cose in se ad essere faticose, ma siamo noi che le sentiamo tali. Questo vuole dire che invece di accanirsi contro persone o situazioni perché si adattino a noi può essere più utile provare a cambiare noi stessi. Almeno un poco.

Prendere le distanze mi sembra una buona sintesi di quello che si può fare mentre “altri” decidono sui termini del nostro pensionamento. Prendere le distanze vuole dire guardare gli avvenimenti da lontano in modo da non esserne feriti, ma anche guardarli in una prospettiva più ampia. La visione di assieme ci aiuta a capire meglio le cause e le conseguenze. E talvolta anche a comprendere meglio le persone. Prendere le distanze può anche voler dire sentirsi meno indispensabili. Senza di noi o senza il modo con cui noi facciamo le cose “il mondo crolla”? Normalmente no. Siamo noi che lo crediamo o dovrei dire: che ci illudiamo. Prendere le distanze anche dall’immagine che ci siamo fatti di noi stessi. Qualcuno ha detto che siamo le storie che raccontiamo. Ho un amico che ogni volta che gli chiedi come va risponde con un sospiro “Ho un sacco di lavoro da fare … sono preso a mille!”. Lo dice con una certa soddisfazione, come se l’immagine di se dipendesse da quanto è occupato. È difficile cambiare prospettiva sul lavoro se non modifichiamo i termini con cui ci descriviamo a noi stessi e agli altri. Ma è chiaro che se non lo facciamo noi lo fa la vita.

Quando verranno ufficializzati i termini di “quota 100” valuteremo possibilità e prospettive. Nel frattempo impariamo a stare meglio sul lavoro!

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Psicologo. Dopo più di 40 anni di lavoro nelle organizzazioni ha deciso di dedicare il suo tempo alla famiglia e allo studio delle religioni e della spiritualità nel mondo.

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