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Lavoro

L’aiuto reciproco di senior e giovani sul lavoro

Reverse Mentoring: il senior può fare da mentore verso i giovani. Ma anche il giovane può esserlo nei confronti dei senior.

Tradizionalmente il mentoring è stato pensato e realizzato come un processo nel quale un senior manager, considerato “esemplare”, prendeva in carico un giovane talento con l’obiettivo di farlo crescere, accompagnarlo nel suo percorso di conoscenza delle persone chiave dell’azienda e degli snodi cruciali dell’organizzazione.

In buona sostanza è stato un processo molto utilizzato nelle multinazionali per accelerare e consolidare il percorso di sviluppo di giovani manager e/o professional considerati di potenziale: una sorta di “fratello o sorella maggiore” a disposizione della giovane risorsa da “svezzare”.

Spesso il mentor era scelto perché considerato un manager credibile, con leadership diffusa, esperto dell’organizzazione, con una forte visibilità e un eccellente network interno. Capace di dare saggi consigli, di offrire adeguata visibilità nei contesti e con le persone guida dell’organizzazione. Talvolta, ma non sempre a dire proprio la verità, motivato a svolgere questo ruolo di guida.

Oggi le cose stanno cambiando e sta iniziando ad affermarsi il c.d. “reverse mentoring”.

In estrema sintesi si tratta di un percorso bidirezionale in cui il senior manager continua a fare, più o meno, le cose che faceva in passato; la novità è che la persona giovane svolge anch’essa un ruolo attivo, facendo appunto da mentor su contenuti, approcci, sui quali tradizionalmente la persona più senior è meno appassionata, meno competente. Gli ambiti preferiti sono quelli che hanno a che fare con la tecnologia, il digitale, i social media, il 2.0.

Più in generale tutto ciò che riguarda il mondo dei nativi digitali può essere oggetto di reverse mentoring: si pensi, ad esempio, all’utilità di comprendere gli stili di comunicazione di un “millennial”, le sue diverse aspettative rispetto al lavoro, le sue richieste di feedback e di autonomia e responsabilità.

Quest’ultimo è un aspetto particolarmente importante: in questo momento convivono in azienda generazioni molto diverse tra loro: Baby Boomers, Generazione X e Generazione Y (chiamati anche Millennials). Ciascuna di esse è portatrice di valori, atteggiamenti, abitudini e stili di leadership e comunicazione molto diversi.

Un processo di reverse mentoring può contribuire ad abbattere barriere, pregiudizi, che ciascuna generazione ha nei confronti dell’altra. E può aiutare molto la persona senior a sentirsi capace di essere parte di un processo di digitalizzazione dei processi aziendali (basti pensare, ad esempio, alle opportunità di apprendimento e crescita personale e professionale che oggi sono offerte dal c.d. social learning).

Avere voglia di agire il ruolo di mentor è stato sempre un prerequisito perché il percorso fosse di successo. A maggior ragione oggi, in questa visione allargata di reverse mentoring, risulta fondamentale la voglia, la motivazione ad essere parte di un processo simmetrico di dare-avere, nel quale investire del tempo.

Aiuta molto quindi che i due attori abbiano entrambi competenze, capacità, esperienze da offrire all’altra parte, unite ad una buone dose di umiltà e di voglia di apprendere cose nuove. E’ necessario che si crei fiducia reciproca: nel giovane per potersi fidare del senior; nel senior per poter considerare di valore i suggerimenti e i feedback che riceve dalla persona più giovane. Ed è molto utile, in sede di ingaggio iniziale, chiarirsi bene aspettative, obiettivi specifici di apprendimento e modalità di relazione.

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