Osteoporosi e attività fisica

Scrive una lettrice: Ho 73 anni e l’attività fisica che svolgo è limitata. Non ho particolari problemi di salute, anche se noto che i miei muscoli si stanno molto indebolendo, soprattutto quelli delle gambe, e mi è stata diagnosticata osteoporosi, a seguito di dolori che provavo alle articolazioni. Qual è l’attività fisica più adatta per l’osteoporosi?

La malattia e il metabolismo osseo

Di osteoporosi si iniziò a parlare verso la fine dell’Ottocento, ma l’inquadramento clinico risale solo al 1941, quando fu definita come “una condizione in cui vi è perdita di tessuto osseo, ma il tessuto restante è completamente calcificato”, il che stava a significare che la componente attiva cellulare non perdeva la sua capacità di costruire, ma piuttosto era incapace di trattenere con efficacia il calcio.

Un po’ superficialmente si considera l’osso come un elemento in cui il metabolismo è modesto in rapporto alla capacità strutturale di sostenere il nostro organismo.

In realtà il metabolismo dell’osso è vivacissimo ed è basato su un continuo ricambio cellulare gestito da due linee cellulari che sono gli osteoblasti, con la capacità di produrre la matrice ossea e di captare il calcio, e gli osteoclasti che eliminano le cellule non più funzionanti e dismettono eventualmente il calcio in eccesso.

Tutto ciò è sotto la gestione di diversi ormoni, tra cui ricordiamo brevemente gli estrogeni, la calcitonina, il paratormone e la vitamina D. Quest’ultima, oltre ad essere introdotta con gli alimenti, viene prodotta a livello cutaneo sotto l’azione dei raggi del sole. Non ci soffermiamo oltre perché la cascata metabolica è molto complessa e comporta l’intervento di diversi organi e apparati.

Attualmente la malattia viene suddivisa in primitiva e secondaria. Secondaria è legata all’effetto di alcune malattie croniche ma specialmente è legata all’assunzione di farmaci, in primis il cortisone. La primitiva è legata principalmente al sesso femminile e al periodo post-menopausale in cui si ha una brusca caduta della produzione di estrogeni nella donna.

Epidemiologicamente, quella che maggiormente interessa la nostra società è l’osteoporosi post-menopausale e, per entrambi i sessi, quella senile che compare anche nell’uomo con una quasi coincidenza con quella femminile dopo gli ottant’anni di età.

Diagnostica

La diagnosi si fa attraverso una valutazione laboratoristica in cui vengono testati alcuni specifici esami e attraverso la MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata). Questo esame misura la massa minerale ossea (BMC = Body Massa Content) e la densità ossea (come BMD = Body Mineral Density): in pratica misura la quantità di sali di calcio contenuta nella regione esaminata del nostro scheletro.

Vengono espressi due valori: il T-score, che indica di quanto il valore in esame si differenzia da quello del campione di riferimento composto da soggetti sani dello stesso sesso; lo Z-score ci dà la valutazione del nostro esaminato in rapporto a una popolazione dello stesso sesso e della stessa età.

Non dimentichiamo che questo esame non è preciso, anzi è piuttosto grossolano, tanto che il SSN italiano prevede controlli non inferiori ai 24 mesi tra loro. Inoltre, la presenza di importanti alterazioni scoliotiche della colonna possono alterare i valori rilevati, per cui in tali casi prevale la MOC femorale. Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, vengono usualmente suddivisi in un primo livello e un secondo livello che comprende quelli più raffinati e specifici.

L’attività fisica

L’attività fisica agisce sull’osso causando delle vibrazioni lungo la struttura che stimolano gli osteoblasti a produrre matrice ossea e a trattenere il calcio. Ciò favorisce la compattezza e la resistenza e impedisce che vi sia perdita del prezioso minerale. Pur sapendo con certezza che l’esercizio agisce positivamente, dal punto di vista biomeccanico non si hanno ancora dei dati definitivi circa il miglior tipo, intensità, frequenza e durata dello stesso.

La soglia minima di stimolazione

Quasi sempre viene consigliato il camminare, ma si è visto che lo stesso crea basse quantità di vibrazioni, con una frequenza compresa tra i 15 e i 30 Hz: tale frequenza è un punto critico perché in alcuni soggetti si ha una risposta positiva dell’anabolismo dell’osso, mentre in altri il semplice camminare non è in grado di proteggere l’osso dalla perdita di calcio (Minimum Effective Strain).  Questo suggerisce che gli esercizi fisici devono essere in grado di stimolare l’osso con frequenze più elevate e specialmente con la più alta gamma di movimenti.

Terminiamo con una doverosa puntualizzazione: quando si parla di attività fisica nell’osteoporotico non bisogna dimenticare che il movimento può essere causa di ulteriori danni e quindi gli esercizi dovrebbero essere svolti in stretta collaborazione tra il medico e il personal trainer.

Tralasciamo la componente farmacologica perché di squisita competenza dello specialista, bisogna rilevare piuttosto che il concetto di impostare degli esercizi fisici serve per prevenire l’osteoporosi in tempi non sospetti e quindi non “chiudere la stalla quando i buoi sono scappati”.

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Foto AmnajKhetsamtip su licenza iStock

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Già primario di riabilitazione specialistica dell’ospedale L. Sacco di Milano e docente presso l’Università degli Studi di Milano, Silvano Busin é Direttore scientifico di ISSA Europe (International Sports Sciences Association Europe) e della rivista Fitness & Sport.

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